Nel 2014 Daniele Giglioli, professore di Letteratura presso l’Università di Trento, pubblicava Senza Trauma. Scrittura dell’estremo e narrativa del nuovo millennio. Nel libro, l’autore tentava di affrontare l’apparato ideologico della società moderna, fondato sul postmodernismo e sul benessere, indicando nella letteratura e nel concetto di “trauma” (e la reazione ad esso) la chiave per poter abbattere le strutture che sembrano ingabbiare l’uomo moderno.
A distanza di dieci anni, il libro viene ripubblicato e Il Tascabile propone un estratto della postfazione, scritta da Giglioli stesso, in cui espone e critica la tesi originale del proprio libro su due punti.
Dieci anni sono tanti. La prima idea è che in questo libro, come negli altri miei che gli hanno fatto seguito, veniva presa troppo alla lettera non la modernità ma la sua narrazione, i suoi slogan, la sua ideologia: emancipazione, uscita dallo stato di minorità, costruzione di un mondo di cui l’animale umano non fosse più suddito ma libero signore. Tutte cose credute, e vissute, e tutte ancora all’ordine del giorno, giacché interamente moderne sono le strutture sociali in cui viviamo, ivi compreso il romanzo, che maramaldeggia beatamente in letteratura come se per affermarsi non dovesse continuare a far strage di ogni altro genere. Ma di cui, nella realtà effettuale, non è rimasto in giro granché, semmai il loro contrario. Ciò non significa che una siffatta eterogenesi fosse a priori deducibile dalle premesse, come recita la tesi claustrofobica della Scuola di Francoforte, che sempre espone alla tentazione di pensare tanto valeva stare a casa. Si dia invece, lealmente, alla contingenza quello che le spetta.
[…]La seconda idea è che quando in queste pagine ce la si prendeva, forse con un eccesso di acredine, contro il ricorso ansioso a ogni possibile trauma immaginario sfruttato al fine di rendere ancora rappresentabile una forma di vita resa ormai immeritevole anche solo di essere detta a causa degli strati geologici di cliché che la comunicazione le va sversando quotidianamente addosso, c’era una parte di ragione e una di torto.
[…]Quelle che Senza trauma non coglieva a pieno erano, per citare Pirandello nella sua difesa di Don Abbondio, le ragioni del coniglio. Quale prassi? Dov’è che ci si iscrive? Ti rendi conto a quale sproporzione di forze siamo esposti, tanto più che tra coloro che ci si invita a chiamare nemici dobbiamo inscrivere, in quanto costruttori della muraglia, anche il nostro nome, come diceva, presago al suo solito, Franco Fortini? Non penso qui tanto a degli avvenimenti: l’11 settembre, la crisi dei mutui, l’austerità, l’attuale pandemia: non è mai un fatto a confutare una teoria, solo un’altra teoria può farlo. Ma a delle logiche profonde che nel frattempo sono emerse, senza più infingimenti come nei melensi anni Novanta, nella loro purezza adamantina.
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