In un articolo pubblicato su L’Essenziale, Giuliano Battiston ripercorre la storia del movimento pacifista italiano.
La manifestazione per la pace del 5 novembre 2022 prende l’avvio con un richiamo al nucleare, un classico che pare tornato di attualità:
“La minaccia nucleare incombe sul mondo. È responsabilità e dovere degli stati e dei popoli fermare questa follia”. A Roma è un sabato di sole e vento freddo, piumini a mezze maniche e baveri alzati. Dal palco allestito in piazza San Giovanni in Laterano Francesca Giuliani, esponente della campagna Sbilanciamoci!, legge l’incipit dell’appello di Europe for peace. Di fronte a lei, decine di migliaia di persone riempiono la piazza, mentre la coda del corteo continua a snodarsi tra le vie Merulana, Labicana e Manzoni. La piazza è composta e colorata: in prima fila le bandiere di Sant’Egidio, quelle arcobaleno e dell’Associazione nazionale partigiani, i simboli della comunità papa Giovanni XXIII. Un arcipelago di sigle, laiche e religiose. Un bambino regge un cartoncino con una scritta rossa: “No al nucleare”.
Molti anni prima, il 25 settembre 1961, il presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, si rivolge all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York, invocando il disarmo nucleare.
Ogni uomo, donna e ragazzo vive sotto una spada di Damocle nucleare sospesa al più tenue dei fili che può essere reciso da un momento all’altro.
Il 24 settembre 1961, il giorno precedente, a migliaia di chilometri di distanza un’invocazione simile si leva tra le file dei partecipanti alla prima marcia per la pace Perugia-Assisi.
“Il successo fu indiscutibile”, scrive Amoreno Martellini, docente all’università di Urbino, in Fiori nei cannoni. Nonviolenza e antimilitarismo nell’Italia del Novecento. Diecimila persone. Fianco a fianco sfilano “esponenti di tradizioni pacifiste lontane tra loro e, fino ad allora, inconciliabili”, uomini e donne, contadini e intellettuali. La matrice culturale è eterogenea: fratellanza pacifista, richieste politiche per l’ingresso della Cina nelle Nazioni Unite, invocazioni religiose contro la guerra, male dell’umanità.
Sessant’anni dopo, spiega Martellini, “le culture della pace che discendono dalle matrici del pacifismo di quelle prime stagioni dell’Italia repubblicana sono ancora tutte lì. O meglio, tutte quelle che sono sopravvissute” ai tornanti della storia.
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