Un lungo articolo di Rolling Stone ripercorre la storia della scena rap italiana degli anni ’90 attraverso la testimonianza di alcuni dei suoi più noti rappresentanti.
«Io volevo fare la rivoluzione con le canzoni». Militant A ricorda così gli esordi della sua carriera: nella primavera del 1990, esattamente 30 anni fa, era una delle voci di Onda Rossa Posse, il primo gruppo hip hop a pubblicare un disco rap cantato in italiano. Batti il tuo tempo, questo il titolo del mini LP, usciva nel pieno della stagione della Pantera: così si chiamava il movimento studentesco in lotta contro la riforma Ruberti che, istituendo l’autonomia finanziaria degli atenei, apriva le università statali agli investimenti privati.
E il vinile di Onda Rossa Posse, autoprodotto nella sede di Radio Onda Rossa in Via dei Volsci 32 a Roma, uno degli epicentri dell’antagonismo politico nell’Italia di allora, ha davvero scatenato una rivoluzione, dando il via a una nuova scena musicale: decine di gruppi che nei centri sociali occupati rappavano in italiano su basi primordiali.
«C’è un prima e un dopo Onda Rossa Posse», racconta Militant A. «Nessuno inventa niente, ma il destino ha voluto così. Perché c’era già il rap in Italia, ma si faceva in inglese guardando al modello americano. Loro avevano un proprio linguaggio e una propria cultura, noi la nostra. Così abbiamo riportato il rap alla sua essenza: interazione ed empatia con la comunità che ti sta intorno. Dopo Onda Rossa Posse è diventato ridicolo fare testi in inglese».
Immagine da Wikimedia.
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