Su Ciclismo viene pubblicato un lungo articolo di Mario Ciaccia che tenta di ricostruire la storia che ha portato alla nascita del fenomeno delle gravel bike (bici da ghiaia), del modo in cui vengono utilizzate e della “filosofia” che le accompagna, cercando di ricostruirne la storia a partire dagli albori del ciclismo.
Sappiamo bene che il ciclismo è nato prima dell’asfalto, per cui in origine persino il Tour de France era un evento gravel.
[…]l ciclocross invece esiste da circa 120 anni ed è una specialità davvero strana: è nata perché, durante l’inverno, i ciclisti volevano allenarsi senza stare troppo in giro al freddo, per cui individuavano dei tracciati corti, ma tecnicamente più impegnativi delle strade sterrate dell’epoca, per fare il fiato e i muscoli in pochi km. Nel ciclocross dominavano il fango, le salite ripide, gli ostacoli tipo tronchi o scale.
L’articolo ripercorre la storia del ciclismo fuori dalla strada, tracciando tappe ed evoluzione delle bici fuoristrada fino alle attuali gravel bike e del ciclismo “avventuriero”, genitore filosofico dell’attuale ciclismo gravel, dai tardi anni ’80, quando la gente montava le pieghe da corsa sulle neonate mountain bike ai primi del duemila, quando uno degli eventi più famosi del panorama gravel ebbe la sua prima edizione, la Dirty Kanza:
ecco che nel 2006 è nata la Dirty Kanza, una gara di 320 km che sfruttava le strade inghiaiate delle Flint Hills intorno a Emporia, in Kansas (nazione il cui nome deriva dalla popolazione nativa dei Kaw, o Kanza). Viene considerata la mamma delle gare gravel ed è molto dura, per la lunghezza, per la noia degli infiniti rettilinei (anche 15 km di fila) e per le temperature che arrivano a sfiorare i 40 gradi centigradi.
Mentre Mario Ciaccia si concentra di più sulla genealogia agonistica delle bici da ghiaia, il panorama è ancora più variegato di così, per via delle sue parentele con il cicloturismo e con le discipline più orientate a godersi il viaggio, come le Randonnée, descritte per esempio in in questo post di Dan Chabanov per Bicycling.
La molteplicità del mondo gravel si percepisce nella persistente difficoltà di dare una definizione unica alle bici e alla “disciplina”. Ciacci ne da ben sei, tra cui:
Una bicicletta scorrevole e veloce studiata per poter percorrere le strade bianche, dando soddisfazione al desiderio di un sacco di gente di poter pedalare su strade prive di traffico automobilistico.
E poi:
La migliore soluzione per poter affrontare viaggi lunghissimi su strade secondarie, anche sterrate, lontani dal traffico e trasportando un bagaglio compatto, ma completo, che garantisca l’autosufficienza.
L’articolo di Ciclismo si chiude con considerazione tecniche e consigli per scegliere una bici da ghiaia, come ad esempio tenere d’occhio la rapportatura, che solitamente è un po’ lunga per i terreni italiani:
La tendenza è quella di usare rapporti intermedi tra strada e mtb, per l’idea che le gravel siano destinate ad affrontare salite meno ripide rispetto ai “rampichini”. Per noi si tratta di un grosso errore, in cui incappano praticamente tutte le Case. Certo, sono le biciclette da ghiaia, nate nelle immense pianure del Midwest americano, ma in Italia abbiamo più colline e montagne che pianure.
E la capacità della bicicletta di montare ruote con copertoni più larghi di quelli che tradizionalmente si usano per le bici da corsa, ma senza aumentare troppo il diametro della ruota:
Ne abbiamo parlato continuamente in questo articolo. Nella definizione di “vera gravel” ci deve stare la possibilità di montare le 700c e le 650b, dove il diametro del cerchio è inferiore nel secondo caso, ma non quello totale della ruota, perché vengono adottati pneumatici di sezione maggiore.
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