L’Archivio Storico dell’Istituto Luce ha acquisito nel 2017 l’intero archivio fotografico di Caio Mario Garrubba, fotoreporter nato a Napoli nel 1923 e considerato uno dei maestri della fotografia del novecento. La redazione dell’Istituto Luce presenta la figura di Garrubba, la cui opera è stata protagonista di una mostra recentemente conclusasi a Roma a Palazzo Merulana, dal titolo Caio Mario Garrubba FREElance sulla strada.
Accompagnato da una fotocamera Leica e qualche obiettivo, Garrubba ha girato i quattro continenti diventando una dei massimi fotoreporter italiani. A chi gli chiedeva come mai usasse un’attrezzatura così elementare, Garrubba rispondeva che «le fotografie si fanno con la testa e non con le macchine». Opinione condivisa da molti altri grandi fotografi. Garrubba era taciturno e silenzioso «[c]ome un gatto sornione pronto a scattare», secondo la definizione dello scrittore e fotografo Ermanno Rea.
Dotato di uno sguardo caustico e critico nei confronti dei potenti, amava la gente che incontrava per strada; queste persone sono diventate nelle sue immagini soggetti straordinari che nella profondità del suo lavoro spiccano nella storia della fotografia. Nel 1961 incontrò in Polonia Alla Folomietov, compagna di vita e preziosa assistente durante i viaggi che lo portreranno in diverse parti del mondo. Garrubba è morto a Spoleto il 2 maggio 2015.
Il resoconto della mostra Lontano organizzata nel 2019 a Roma alla Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea così descrive il suo lavoro:
A partire da un viaggio nel ’53 nella Spagna franchista, il percorso fotografico di Garrubba — e della mostra — ci porta nella religiosa Polonia comunista (dove incontra quella che diventerà la sua amatissima compagna, Alla Folomietova), nella Cina “lontana” (famoso è il suo scatto di Chruščëv ritratto di spalle accanto a Mao Zedong) e nella fredda e cupa Unione Sovietica post-staliniana. Ma anche a Napoli e nella terra d’origine dei suoi genitori, la Calabria, nonché in Brasile, a Thaiti, negli Stati Uniti, e in Francia, dove incontrò Henri Cartier-Bresson, il più noto estimatore del suo lavoro, con il quale condivideva non solo l’amore per la Leica – la fotocamera “storica” del reportage internazionale – ma anche quello per l’arte, fondamento di un'”educazione visiva” che lo accompagnerà in ogni suo scatto.
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