Rivista Studio pubblica un commento di Matteo Codignola su C’era una volta a… Hollywood, l’ultimo film di Quentin Tarantino.
Il diavolo si nasconde nel solito posto, nei particolari: e, pretendendo di avere un certo commercio col suddetto, anche Tarantino. Così, quando all’uscita della sala lo spettatore non fidelizzato – lo riconoscete subito, è l’unico sprovvisto di secchiello da 1Kg di popcorn – si pone la solita domanda, che cavolo di film è mai questo, stavolta trova una risposta quasi subito. C’era una volta a… Hollywood è infatti un lungo, virtuosistico e piuttosto costoso riempitivo dell’unica scena che probabilmente Tarantino voleva girare fin dall’inizio: quella in cui, con un trucchetto digitale, strizza il povero DiCaprio nel giubbotto da aviatore di Steve McQueen e lo infila in una sequenza altamente iconica della Grande fuga. Quanto alle rimanenti due ore e quaranta di film, sono dedicate al suo passatempo preferito e – qui – confesso: gattonare intorno al cinema di Sergio Corbucci.
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