Doppiozero.com all’interno dello speciale Le voci dei traduttori, ci propone questo articolo di Franco Nasi, saggista e traduttore che ci parla, incredibile dictu, di traduzione di libri e della figura del traduttore ma soprattutto, e vedremo il perché, della traduttrice.
Si parte dal libro The Translator’s Invisibility (1995) del teorico americano Lawrence Venuti che mostra come, in particolare nel mercato editoriale americano, ma non solo, prevalgano le strategie traduttive che tendono a nascondere il fatto che il nuovo testo che si legge in inglese è una traduzione, ma un testo scritto direttamente in inglese.
Così facendo c’è il rischio – ed è su questo che Venuti insiste in un libro che è di storia dell’idea di traduzione, di linguistica, ma anche di politica e di etica – che l’addomesticamento necessario diventi una operazione di annullamento dell’altro, di nascondimento delle specificità culturali del testo originale, a volte perfino della forza dirompente e innovativa rispetto alle norme consolidate che spesso caratterizzano le opere letterarie… Ci sarà un adeguamento al lettore a scapito del portato del testo originale, che diventerà così oggetto di un atto di imperialismo culturale: un’appropriazione violenta e sterile e non un’accoglienza feconda.
Per questo motivo i traduttori sono stati a lungo considerati le Cenerentole del mondo editoriale e le più Cenerentole sono sicuramente le traduttrici che in Italia rappresentano l’85% di chi svolge questa professione.
Questa invisibilità dei traduttori e delle traduttrici, come scrive Michele Sisto in uno dei saggi che compongono il ricco volume La donna invisibile. Traduttrici nell’Italia del primo Novecento (a cura di Anna Baldini e Giulia Marcucci, Quodlibet, 2023) non riguarda solo la loro presenza/assenza nelle strategie traduttive, “non è solo testuale, ma anche sociale. A differenza dell’autore, che nella modernità gode di un capitale simbolico rilevante”, la presenza di chi traduce “è generalmente trascurabile e trascurata non solo nella sfera pubblica, ma anche nel mondo più ristretto di coloro che si occupano di letteratura” (p. 35). Il problema non è tanto di mettere in copertina il nome della traduttrice o del traduttore, ma piuttosto di comprendere e valorizzare il ruolo che hanno avuto e hanno come mediatori e mediatrici culturali forti nel processo di formazione di una cultura letteraria nazionale.
Per evidenziare e sottolineare quale sia stato il ruolo delle traduttrici nell’ambito della letteratura italiana e del suo rapporto con quelle straniere Nasi cita un volume che copre un ampio arco temporale che va dal secondo Quattrocento al Novecento: Women and Translation in Italian Tradition, curato da Helena Sanson (Garnier 2022) nel quale si parte dal capitolo firmato da Luca Zipoli su Antonia Pulci (1452-1501, prima donna traduttrice italiana la cui opera è stata pubblica) fino a quello di Andrea Romanzi sulla traiettoria di Fernanda Pivano come influentissima mediatrice culturale fra America e Italia nella seconda metà del Novecento.
Per fortuna oggi le cose stanno migliorando e traduttrici e traduttori cominciano ad avere una maggiore visibilità
Anche l’editoria sembra essersi accorta di questa nicchia di mercato. Così negli ultimi anni diverse importanti traduttrici hanno potuto raccontare il proprio lavoro in volumi in cui la narrazione autobiografica del proprio percorso di formazione professionale si affianca spesso a una profonda e argomentata riflessione sull’atto stesso del tradurre.
Antoine Berman, insieme a Venuti uno dei nomi sempre citati quando si parla di traduzione, insisteva sulla necessità di sostituire l’espressione teoria della traduzione con quella di riflessione sull’esperienza del tradurre, legando così indissolubilmente l’aspetto teorico alla esperienza viva del fare.
Molti dei libri scritti in questi anni dalle traduttrici più autorevoli sono dei chiari esempi di quella che Berman chiama traductologie.
A questi si aggiunge ora il libro godibilissimo e ricco di interessanti riflessioni Fra le righe. Il piacere di tradurre, di Silvia Pareschi… Tradurre obbliga a prestare attenzione ai dettagli, a indugiare fra le righe e ai sensi obliqui della lingua; e proprio partendo dalla descrizione di esperienze di traduzione, quindi con riferimenti a problemi testuali concreti, Pareschi accompagna il lettore a riflettere su temi centrali della professione come il rapporto oggi attualissimo fra traduzione editoriale e l’intelligenza artificiale, il ruolo della traduttrice all’interno della filiera editoriale, la traduzione collaborativa, la questione della traduzione dei dialetti e delle varianti regionali, la ritraduzione dei classici.


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