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Trump, gli Usa e gli hacker

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“Nessuno viene hackerato”. Con questa affermazione del presidente Trump apriamo e poi chiudiamo per sempre la newsletter.

Ok, no, qualcosa ancora va scritto. A un evento in Arizona, Trump ha proclamato che “nessuno viene hackerato. Per essere hackerato hai bisogno di qualcuno con un QI di 197 e costui ha bisogno del 15 per cento della tua password”. Qualora abbiate un QI (quoziente intellettivo) del 200 per cento e crediate solo al 13 per cento di quanto scritto vi ho messo qua il VIDEO.

Probabilmente era una battuta (o forse no? l’esegesi trumpiana la lascio ad altri), ma questa frase (riferita a un giornalista che ha ammesso di aver detto falsamente che il suo profilo Twitter era stato violato per giustificare un messaggio inviato dallo stesso) è stata molto commentata anche dalla stampa di settore. Indubbiamente Trump ha un rapporto un po’ difficile con la questione hacking visto che nel 2016, alle scorse presidenziali, il partito democratico americano fu davvero “hackerato” (in varie sue forme, dal Comitato Nazionale Democratico a John Podesta) dall’intelligence russa, stando alle stesse indagini americane, e si è molto discusso degli effetti collaterali di quegli attacchi sui media e quindi sulla campagna elettorale che ha portato proprio alla vittoria repubblicana. Ma TechCrunch ha anche ricordato che in verità proprio la catena di hotel di Trump è stata hackerata due volte, una nel periodo tra il 2014 e il 2015, e un’altra volta tra il 2016 e il 2017. E in entrambi gli incidenti sono stati rubati i dati delle carte di credito dei clienti degli alberghi. Per altro nel 2013 lo stesso Trump aveva ammesso che il suo profilo Twitter era stato violato.
Però chissà in effetti che QI dovevano avere gli attaccanti.

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