Come fronteggiare l’odio in Rete? Come garantire la libertà di espressione? Come tutelare la libertà di informazione evitando però di fare da grancassa a notizie false e pericolose?
Su queste domande si apre la newsletter di questa settimana, consapevoli che siamo di fronte a questioni ineludibili eppur aggirate da anni, e che ora i tempi eccezionali, così come una campagna presidenziale americana sempre più lisergica, impongono un maggior sforzo di ragionamento su questi temi da parte di tutti. Partiamo dunque con un caso di decostruzione dell’odio dal basso, senza bisogno di censure. Decostruzione tecnica ma soprattutto ideologica.Dopo che Trump era stato a dir poco ambiguo nel prendere le distanze dai Proud Boys, gruppo di “nazionalisti sciovinisti” bianchi considerato un vero e proprio gruppo d’odio dal Southern Poverty Law Center, è arrivata la reazione da una serie di uomini gay ed esponenti della comunità LGBTQ che hanno deciso di appropriarsi, su Twitter, dell’hashtag #proudboys, twittando insieme allo stesso le proprie foto in atteggiamenti di intimità con altri uomini.
“Che ne dite se i gay si facessero delle foto mentre stanno facendo delle cose molto gay, e poi si taggassero con #ProudBoys”, aveva cinguettato l’attore di Star Trek, George Takei. Detto, fatto. È stato un diluvio di immagini di uomini che si baciavano, si abbracciavano, si sposavano, stavano guancia a guancia, si stringevano insieme ai figli, ai propri animali domestici, e via dicendo (qui su UsaToday una simpatica rassegna del risultato).
Qualcosa di simile era già accaduto a giugno, quando i fan del K-pop (pop coreano) avevano sequestrato l’hashtag suprematista bianco #whitelivesmatter, pubblicando video e immagini delle loro star e seppellendo i tweet del gruppo con un mix di nonsense e messaggi antirazzisti, ricorda NBCnews. Del resto, lo stesso Takei si è proprio appellato ai ragazzini del K-pop e di TikTok per portare a termine la missione. Che alla fine è stata completata con successo.
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