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La violenza domestica oggi

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John Hamel e Brenda Russell su OUPblog parlano di violenza domestica e di come è cambiato l’approccio della società verso questo fenomeno.

Fino agli anni Ottanta, il problema della violenza domestica, spesso indicato come violenza da partner intimi (in inglese IPV), era considerato una questione privata, di cui si parlava raramente negli spazi pubblici, e preso sotto gamba dalle forze dell’ordine. Da allora, sono state emanate leggi per proteggere le vittime e punirne gli autori; la società ha preso il problema più seriamente, come evidenziato dalla proliferazione di notizie sull’argomento.

Gli autori partono da un caso di cronaca relativamente recente, la causa Johnny Depp–Amber Head. Secondo Hamel e Russell la società in cui viviamo — compresi i decisori — ha un paradigma preciso su cosa sia la violenza domestica: l’aggressore è l’uomo (che è violento per mantenere il suo “privilegio maschile”, perché ha dei problemi mentali o per gelosia) e gli atti di violenza vengono visti come «singoli» (cioè limitati nel tempo e con conseguenze gravissime per vittima) piuttosto che come una serie di azioni aggressive di carattere, qualità e scansione temporale più eterogenee.

Quanto coindidono queste idee con i dati che abbiamo a disposizione?

Molte persone non si rendono conto che la prevalenza di violenza domestica nell’arco della vita è del 47,3% per le donne e del 44,2% per gli uomini. Inoltre, i tassi di violenza domestica nel corso della vita tra le «minoranze di genere» sono simili o superiori a quelli delle coppie eterosessuali. Gli uomini e le donne bisessuali registrano i tassi più elevati di violenza domestica, mentre quasi il 44% delle lesbiche e il 26-50% dei maschi omosessuali subiscono violenza domestica. Inoltre, sebbene i dati sulle persone transessuali siano scarsi, la ricerca attuale rileva che i transessuali e le persone non binarie hanno una probabilità 1,7 volte maggiore di subire qualsiasi forma di violenza domestica rispetto alle persone che non lo sono e oltre due volte e mezzo maggiore di subire violenza fisica e sessuale. I giovani appartenenti a minoranze sessuali hanno tassi di vittimizzazione fisica e sessuale più alti rispetto al resto dei giovani.

Questa fotografia si scontra quindi con quello che Hamel e Russel chiamano il «paradigma di genere». Gli autori invitano a non usare questi dati per smantellare i passi fatti contro la violenza domestica, o considerarla una fisima da ricchi annoiati, ma per ampliare il discorso a platee e ad atti di violenza che non sono stati finora considerati:

Ci si può chiedere: perché è così importante se un uomo di un metro e ottanta viene schiaffeggiato dalla moglie di un metro e sessanta durante un litigio coniugale? Non può difendersi? Se si mette un uomo medio su un ring di pugilato con una donna media, l’uomo non “vince” sempre? L’ovvio problema di questa analogia è che gli ambienti e i contesti in cui le coppie litigano, e talvolta vengono alle mani, sono molto diversi. La maggior parte degli uomini è restia a colpire le donne, tanto meno a ferirle gravemente, a causa dei codici cavallereschi e delle ripercussioni che ne deriverebbero, non solo legali, ma anche per la diminuzione della loro posizione in casa e nella comunità. Mentre gli uomini violenti possono instillare nelle loro vittime donne una maggiore paura di subire danni fisici, le donne violente possono — e lo fanno — instillare nelle loro vittime maschili la paura di essere incarcerati, umiliati pubblicamente, di perdere i figli e la maggior parte dei loro beni in una causa di divorzio.

Per Hamel e Russell questa nuova prospettiva non è solo parte di un dibattito accademico o di giustizia penale, ma sociale. Per esempio tra i motivi per considerare in maniera diversa questo tipo di violenze vi è quello di spezzare il circolo vizioso di abusi che si crea tra genitori e figli:

I bambini che assistono a maltrattamenti fisici o emotivi da parte della madre nei confronti del padre hanno la stessa probabilità di commettere atti simili nelle loro relazioni sentimentali e in quelle adulte, come se avessero assistito a maltrattamenti da parte del padre nei confronti della madre. Ciò è dovuto al principio dell’apprendimento per osservazione, che non dipende dalle dimensioni e dalla forza.


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