Paolo Pecere ha realizzato per Il Tascabile un reportage avventuroso su alcune comunità indigene dell’Amazzonia che vivono accampate lungo le sponde del Rio Gamboa e del Rio Yavarì – entrambi affluenti del Rio delle Amazzoni -, in un territorio, non molto distante dalla cittadina colombiana di Leticia, situato al confine tra Colombia, Perù e Brasile. L’autore, dopo una descrizione del variegato e unico ecosistema locale, cui segue una breve digressione sulle intenzioni tutt’altro che ecologiche del governo brasiliano di Jair Bolsonaro e sulle logiche alla base del fenomeno della deforestazione, indaga il complesso rapporto tra la foresta e il turismo, esplorando nel mentre le caratteristiche usanze degli indigeni e raccontando alcune delle drammatiche conseguenze del bracconaggio. Pecere passa poi in rassegna una serie di opere incentrate sul tema dell’incontro/scontro tra la cultura occidentale e le popolazioni autoctone, soffermandosi in particolare su La caduta del cielo (2010), libro scritto a quattro mani dall’antropologo Bruce Albert e lo sciamano ambientalista, nonché leader della comunità Yanomami, Davi Kopenawa.
“Nella foresta c’è tutto quel che serve, cibo, acqua, medicine, antidoti”, mi spiega Pancho, un uomo della comunità, avanzando col machete tra le fronde. Le piante amazzoniche hanno funzionato a lungo come farmaci, sono in un quarto dei nostri medicinali e sono ancora oggetto di ricerca. Tutto trova nuovi nomi sotto la guida della voce straordinariamente calma, lenta e silenziosa di chi qui vive da secoli. Il kapok, o lupuna, è l’albero più grande, che può arrivare fino a sessanta metri. Sulla corteccia passa la linea della marea, che nella stagione più piovosa sommergerà lo spazio in cui camminiamo. Le radici enormi del matamata sembrano tendaggi di legno. Pancho le colpisce col machete e un suono profondo si diffonde per la foresta: “È l’albero-telefono. Se ti perdi, puoi comunicare la tua posizione a chilometri di distanza”. Continua a spiegare che dalla bromelia, i cui fiori rossi attecchiscono su tronchi e rami come festoni, si estrae un veleno. La caferana e la uacapurana sono per il mal di stomaco. L’unia de gate è un antidolorifico. La cumaseba è contro il freddo. L’abuta combatte il diabete, il capinori il cancro, lo uambe agisce sulla prostata. La polvere dell’arbol talco distrugge i funghi della pelle. Pancho fa piccole incisioni sui tronchi e compaiono strati bianchi, rossi, arancio, si sprigionano profumi. Le radici rosse che serpeggiano nella terra sembrano vene esposte di un organismo gigantesco. Dai tagli nel caucciù scende un’emorragia di liquido bianco, che in mano si fa gomma.
Immagine da wikimedia.
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.