Su suggerimento di @Ospizio, @Fhtagn! e @Yoghi.
Abbiamo già parlato in varie occasioni di intelligenza artificiale e di come lo sviluppo di macchinari sempre più autonomi possa mettere in crisi (o no) il mercato del lavoro; questa sembra in realtà essere una questione aperta dall’automatizzazione della fabbrica negli anni Settanta ad oggi (o ancora più indietro), periodo in cui sono nate e susseguitesi una serie di posizioni tra più e meno fatalisti. La presa di posizione continua, ma evolvendosi insieme all’evoluzione dell’AI.
Questo articolo del Guardian riassume alcuni dei punti chiave del problema: la capacità o meno di una crescita produttiva grazie all’automatismo, la necessità di ripensare ad una società basata più sullo svago che sul lavoro, la disuguaglianza dovuta a chi deteniene la tecnologia/i macchinari.
Sulla questione della disuguaglianza anche Stephen Hawking dice la sua, parlando dell’AI come una delle ultime invenzioni del capitalismo (ne avevamo già parlato in questi termini qui) e puntando l’attenzione proprio al problema della distribuzione ineguale delle risorse – molto più importante in un futuro in cui, stando alle proiezioni, la produzione non sarà più opera dell’uomo.
Un rapporto che però, in quest’articolo di lavoce.info, viene stemperato, anche se rimane centrale il problema della distribuzione della ricchezza. È però con il superamento del paradosso di Polanyi che gli ingegneri di AI stanno lavorando: «il paradosso evidenzia come la conoscenza umana si estenda molto più in là di quanto esplicitamente comprensibile dalle persone stesse, ponendo un paletto tuttora insormontabile anche per la più avanzata intelligenza artificiale».
Sembra quindi che, per cantare vittoria, l’AI dovrebbe riuscire a permettere l’autoapprendimento; ad oggi, sembra che in un futuro non troppo lontano sarà possibile alle macchine entrare nei college nelle facoltà di storia (per lo meno di superare i test).
Immagine in Pubblico dominio tramite Wikimedia Commons
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