Su Il Tascabile, Bruno Ruggeri riflette sulla costruzione operata dai media del mito di Mario Draghi analizzandone i meccanismi – talvolta inefficaci, sostiene lo stesso autore – funzionali alla creazione del consenso.
Il 3 febbraio 2021 Mario Draghi, economista liberale, già banchiere per Banca d’Italia, Goldman Sachs e Banca Centrale Europea, accetta l’incarico del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella di formare un governo dopo la caduta del governo Conte II. Il suo compito: gestire la spesa dell’enorme finanziamento (più di 200 miliardi di euro) stanziato dall’Unione Europea. Non appena la notizia diventa pubblica è come se un segnale segreto, udibile solo da alcuni, sia suonato in tutto il paese. All’improvviso l’intero mondo del giornalismo italiano scatta in perfetta coordinazione e inizia a produrre rapidamente, uniformemente, articoli su articoli dedicati a Draghi – e non c’è altro modo di descriverli che “dedicati a Draghi”.
Non si tratta solo di testi che hanno come argomento Draghi; e nemmeno solo di testi offerti in omaggio a Draghi; si tratta anche e soprattutto di testi che hanno la funzione di segnalare la propria dedizione (Treccani: “totale offerta di sé, delle proprie energie e del proprio tempo a un fine o a una persona”) a Draghi. La parola viene dal latino deditio e significa, alla lettera, “consegna di sé”, nel senso di resa ad un vincitore, di sottomissione fiduciosa nella clemenza. Quando una comunità, tribù o regno, veniva sconfitta dall’Impero Romano o voleva evitare un conflitto, poteva scegliere di sottomettersi al potere di Roma in cambio della vita, diventando così dedita, sottomessa, e inclusa nei possedimenti imperiali. Ancora: nell’Europa del primo Medioevo la deditio consisteva nell’atto di sottomissione al re, simboleggiato dal prostrarsi nudi o vestiti solo di corda davanti al trono.
Immagine da Flickr
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