Negli scorsi giorni l’Accademia della Crusca, con un parere formale richiesto dalla Corte di cassazione, si è pronunciata a proposito di proposte linguistiche sulla parità di genere in ambito giuridico. In breve: no a scevà e segni simili («Carə amicə»), no a locuzioni retoriche che appesantiscano il testo («lavoratori e lavoratrici»), no all’articolo davanti al cognome («la Rossi»), sì a declinazioni al femminile delle professioni («avvocata»), sì al maschile plurale «non marcato» come inclusivo. Ne scrive Sky Tg24.
No agli asterischi, sì alle declinazioni delle professioni al femminile. Sono queste alcune delle indicazioni dell’Accademia della Crusca, con un parere formale espresso dal Consiglio direttivo, in risposta al quesito sulla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari posto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione. L’Accademia suggerisce di “evitare le reduplicazioni retoriche” (“lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine, impiegati e impiegate” e simili) come l’uso dell’articolo con i cognomi di donne. Inoltre “va escluso tassativamente l’asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico” e lo stesso vale per schwa. […]
Il maschile plurale non marcato come inclusivo:
In una lingua come l’italiano, che ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, spiega il professore Claudio Marazzini, “lo strumento migliore per cui si sentano rappresentati tutti i generi e gli orientamenti continua a essere il maschile plurale non marcato, purché si abbia la consapevolezza di quello che effettivamente è: un modo di includere e non di prevaricare”.
Più informazioni e consigli pratici sul sito della Crusca (L’Accademia risponde a un quesito sulla parità di genere negli atti giudiziari posto dal Comitato Pari opportunità del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione).
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