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Le disuguaglianze nella retribuzione? Dipendono anche dalle ore lavorate

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Daniele Checchi e Cecilia García-Peñalosa analizzano su LaVoce quanto le differenze nelle ore lavorate tra lavoratori a basso e alto salario possano spiegare una parte significativa dell’aumento complessivo della disuguaglianza di reddito.

L’articolo presenta in particolare i risultati di un’analisi compiuta su quattro paesi: USA, Regno Unito, Francia e Germania.

Una maggiore disuguaglianza nell’orario di lavoro implica una distribuzione più dispersa nelle retribuzioni dei lavoratori? Non necessariamente. Il motivo è che l’impatto della disparità delle ore lavorate dipende da chi lavora di più. Consideriamo un lavoratore ben pagato con un salario doppio rispetto a quello di un lavoratore a basso salario: se entrambi sono impiegati per lo stesso numero di ore, la retribuzione del primo è doppia rispetto a quella del secondo. Supponiamo invece che l’individuo a bassa retribuzione lavori il doppio delle ore di quello ad alta retribuzione: la disparità di orario sarà maggiore, ma i due lavoratori avranno lo stesso guadagno, il che implica che non ci sarà nessuna disparità retributiva.

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Per comprendere l’importanza delle ore lavorate per la disuguaglianza salariale, eseguiamo una scomposizione che ci consente di calcolare quale frazione della dispersione complessiva dei guadagni sia dovuta ai salari e quale alle ore, con quest’ultima che incorpora sia la dispersione delle ore che la loro correlazione con i salari.

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Nel tempo, il contributo della disuguaglianza delle ore lavorate alla disuguaglianza totale dei redditi è stabile negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Al contrario, il contributo delle ore è aumentato in Francia e Germania, passando rispettivamente dal 25 e 28 per cento nel 1995 al 40 e 48 per cento nel 2016. In Francia, l’aumento della disparità di orario è stato compensato da un calo della dispersione salariale, lasciando sostanzialmente invariata la disparità di reddito complessiva. In Germania, le ore sono state il fattore principalmente responsabile dell’aumento del 50 per cento dell’indice di disuguaglianza salariale


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