Nel mondo della scuola americana le discussioni e le contrapposizioni (pedagogiche, politiche, ideologiche, spesso in maniera strettamente interconnessa) sono feroci. Non a caso si è spesso parlato, anche per la scuola, di culture wars, come ad es. quella che ha riguardato l’approccio all’insegnamento della lettura nella scuola primaria, che in questi ultimi tempi ha visto un completo rovesciamento, e una radicale confutazione, dei principi seguiti da una pedagogia anti-tradizionalista come quella di Lucy Calkins, largamente egemone nelle scuole americane negli ultimi vent’anni.
La vittoria di Trump dunque ovviamente avrà un’influenza anche sull’istruzione americana. In risposta ad un articolo di un ricercatore di orientamento progressista, Daniel Buck, conservatore, sostenitore di Trump e senior visiting fellow al Fordham Institute spiega perché secondo lui l’istruzione americana si gioverà dell’approccio di Trump, che tra le altre cose vuole del tutto abolire il Department of Education federale in favore di una gestione puramente statale delle scuole.
Un riassunto a mo’ di decalogo di quel che si propone di fare la nuova amministrazione Trump invece si può trovare in questo post su X.
Una prospettiva meno schierata è quella offerta in questo articolo del NYT, utile anche per chi non ha familiarità con l’istruzione negli USA:
People disagree about how best to meet these goals [migliorare i risultati scolastici, .n.d.r]. (Roughly, liberals think the worst public schools should be made better, and conservatives think parents should be given more choices outside the public system, though there are some heterodox advocates.) But the depressing fact is that neither party has delivered on the basics. As I argued last month, neither Donald Trump nor Kamala Harris had a plan for increasing test scores, fixing Covid learning loss, working on the student absentee crisis or addressing the fact that the teacher pipeline is drying up.
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.