Su hookii da anni trattiamo i temi delle fake news e della disinformazione, evidenziando i limiti di fact checking e debunking e di come sia necessario un nuovo approccio. Bruno Saetta su Valigia Blu presenta il libro Il libro “Invisible Rulers: The People Who Turn Lies into Reality” di Renée DiResta, un’analisi approfondita su come la disinformazione e la propaganda digitale stiano ridefinendo il potere e l’influenza nella società contemporanea.
Un’ampia sintesi dell’articolo si trova sull’account mastodon di Valigia Blu da cui si trae questa presentazione.
La disinformazione oggi non riguarda solo la diffusione di notizie false. Sempre più spesso, è un atto performativo: costruisce e rafforza identità di gruppo, mobilita emozioni, crea appartenenza. La posta in gioco non è solo la verità dei fatti, ma il senso di chi siamo.
La disinformazione performativa non mira a persuadere con argomenti, ma a rinsaldare legami emotivi. Serve a dire: “noi siamo diversi da loro”. Più che convincere, consolida. Più che informare, divide. La verità si relativizza in nome dell’identità collettiva-
Questo fenomeno è diverso dalla propaganda tradizionale. Non cerca un consenso razionale, ma un riconoscimento emotivo. Non importa se un’informazione è verificabile o falsa: importa se serve a rafforzare il gruppo, a combattere il “nemico”, a esprimere un’appartenenza.
I social media hanno accelerato questa trasformazione. La logica dei like e della viralità premia contenuti capaci di generare reazioni istantanee, indignazione, senso di ingiustizia. La verità viene misurata in termini di risonanza emotiva, non di aderenza ai fatti.
Il problema non è solo tecnologico. Esiste una domanda sociale di narrazioni identitarie. In un contesto di crisi, incertezza e polarizzazione, le persone cercano comunità, riconoscimento, protezione. La disinformazione performativa offre risposte semplici e rassicuranti.
La conseguenza è una frammentazione radicale della realtà. Non esiste più uno spazio comune di verità condivisa. Esistono molteplici “verità”, ciascuna funzionale alla coesione di un gruppo. La realtà diventa un campo di battaglia simbolico in cui contano solo fedeltà e lealtà-
Non si tratta solo di smascherare fake news o correggere errori. Non basta “dire la verità” per arginare la disinformazione performativa. Bisogna comprendere i bisogni identitari che la alimentano e costruire spazi di riconoscimento che non rinuncino all’onestà dei fatti.
Difendere la verità oggi significa difendere l’idea che la realtà possa essere discussa, verificata, messa in comune. Significa rifiutare la logica amico/nemico che trasforma ogni divergenza in un atto di tradimento. Significa anche curare le ferite sociali che generano paura
Serve una nuova alfabetizzazione emotiva e critica. Non solo strumenti per verificare i fatti, ma capacità di riconoscere come le emozioni vengono manipolate. Serve costruire comunità che non siano fondate sull’esclusione dell’altro, ma sulla ricerca collettiva della verità
La sfida è culturale e politica. In un tempo in cui la verità è diventata performativa, difenderla significa coltivare pratiche di ascolto, empatia, pensiero critico. Non per tornare a un passato ideale, ma per immaginare nuove forme di convivenza in una realtà complessa


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