Un articolo del Corriere descrive la pratica del cosiddetto “Money Slavery” o Financial Domination.
Stiamo pranzando e mia figlia, tra un «passami il sale» e «vuoi ancora insalata?», mi racconta la storia di questo strano “corteggiamento”. E’ capitato poche settimane fa a una sua amica. Ripete e sottolinea: «Un money slave!». Quando non reagisco con il dovuto stupore alla notizia, vengo incalzata. «Mamma, sai chi è?». «Sarà un masochista?», buttò lì con nonchalance. Non sono moralista, non mi scandalizzo facilmente. Convivo con una buona dose di cinismo e credevo anche di essere abbastanza aggiornata sulle perversioni, invece vengo squadrata con un certo compatimento. Mentre addento un pomodoro, mia figlia mi guarda delusa. Capisco di essere considerata vintage, sconnessa, disinformata. Obsoleta. Non ho prestato abbastanza attenzione al dettaglio chiave del racconto e del concetto ho capito solo la parola slave, invece l’enfasi va posta sul primo vocabolo: money.
Immagine da pxhere.
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