Su suggerimento di @Swanito Pluffe.
David Graeber e David Wengrow criticano in un articolo pubblicato su Eurozine la convinzione diffusa per cui, prima della cosidetta rivoluzione agricola, gli esseri umani sarebbero vissuti in uno stato idilliaco di comunismo primitivo e chel’avvento dell’agricoltura, avrebbe portato con se innovazioni positive come letteratura, filosofia e scienza e altre negative, come guerre, disuguaglianza e schiavitù.
L’articolo è stato tradotto da Franco Senia sul suo blog.
Le prove schiaccianti fornite dall’archeologia, dall’antropologia e dalle discipline affini, hanno cominciato a dare un’idea abbastanza chiara di ciò a cui hanno davvero assomigliato gli ultimi 40mila anni di storia umana, e quasi in nessun tutto questo sembra possa somigliare a quello che ha raccontato la narrativa convenzionale. Infatti, la nostra specie non ha affatto trascorso la maggior parte della sua storia in piccole bande; l’agricoltura non ha segnato alcuna soglia irreversibile concernente l’evoluzione sociale; le prime città sono state assai spesso fortemente egualitarie. Eppure, anche se i ricercatori sono gradualmente arrivati ad avere un certo consenso su tali questioni, rimangono stranamente riluttanti ad annunciare le loro scoperte al pubblico – o persino di annunciarle a studiosi di altre discipline – e ancor meno sembrano propensi a riflettere sulle implicazioni politiche più ampie.
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