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Come si crea un mercato per l’arte moderna

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Buona domenica. Hugh Eakin è senior editor al “The New York Review of Books” nonché editore fondatore del “NYR Daily“. Il suo nuovo libro s’intitola “Picasso’s War: How Modern Art Came to America” e ovviamente non parla di Picasso né della guerra né dell’arte.
Il vero soggetto di tutta quanto l’opera è la creazione negli Stati Uniti di un mercato per uno specifico prodotto, l’arte moderna.

Gli Stati Uniti non sono mai stati particolarmente interessati alle avanguardie artistiche. Nel 1913, tanto per fare un esempio, durante una mostra di Matisse all’Art Institute of Chicago vennero bruciati tre dipinti e, da parte degli studenti d’arte, venne inscenato

un finto processo per omicidio artistico.

Nel gennaio del 1939, per tornare a noi, Pablo Picasso era famoso in tutta Europa ma ancora disprezzato negli Stati Uniti; un anno dopo gli statunitensi chiedevano a gran voce le sue opere. Che cos’era successo? In che modo il controverso leader dell’avanguardia parigina è riuscito a fare breccia nel cuore della cultura americana?

Stiamo parlando di un periodo pre-Internet, ovviamente: un periodo in cui la produzione, la distribuzione e pure il consumo di cultura aveva bisogno di tutto un mondo di ruoli e figure che fungessero da intermediari (e che Internet in parte ha spazzato via): commercianti, galleristi, collezionisti, curatori e critici, i componenti di quello che i sociologi chiamano “il mondo dell’arte” e che esiste soprattutto per rispondere alla domanda “Ma questa è arte?“.
Quando i dipinti cubisti furono realizzati e poi esposti per la prima volta, intorno al 1907, a molti non sembrava affatto arte: non è sufficiente guardarla per capire se si tratta di arte.

Lo si capisce però se le gallerie vogliono mostrarla, i commercianti vogliono venderla, i collezionisti vogliono comprarla, i musei vogliono esporla e i critici possono spiegarla. Quando le parti sono sincronizzate si ha un mercato.

Come si fa, quindi, a sincronizzare tra di loro tutte queste parti? Che cos’ha permesso di “creare” da un anno con l’altro il mercato di Picasso negli USA?
La risposta inizia in realtà molto prima, una generazione prima, quando un avvocato, collezionista e impresario culturale di nome John Quinn decise di costruire la più grande collezione esistente di Picasso.

Quinn non era solamente un collezionista d’arte. Fu il principale promotore di scrittori moderni come William Butler Yeats, Joseph Conrad, Ezra Pound e TS Eliot. Acquistò i loro manoscritti per sostenerli e contribuì a far conoscere il loro lavoro negli Stati Uniti.

Qui inizia la storia raccontata da Eakin e per la quale rimandiamo a questo articolo del NewYorker: L’arte moderna e la macchina della stima | Il New Yorker

Con la morte di Quinn muore il sogno di un museo che ospita le opere di Picasso finché non interviene Alfred H. Barr, Jr., un visionario culturale che, all’età di ventisette anni, diventa direttore del nuovo Museum of Modern Art di New York.

Convenientemente per l’arco narrativo di Eakin, Alfred Barr, allora giovane professore di storia dell’arte a Wellesley, aveva avuto modo di ammirare parte della collezione di Quinn prima che fosse dispersa, il che consente all’autore di proporre l’idea secondo la quale una delle aspirazioni di Barr quando ha accettato la direzione del MoMA tre anni dopo doveva essere quella di ricostruire la collezione Quinn e di riportarla in America. Questo era impossibile, ovviamente, i pezzi erano ormai in troppe mani.

Ma il MoMA divenne, in effetti, il museo di Quinn, e il canone di Quinn divenne il canone di Barr.

L’obiettivo comune di Barr e Quinn sarebbe stato poi sventato negli anni a venire: dall’ostilità popolare, dalla Depressione, dagli intrighi parigini e dallo stesso Picasso. Ci sarebbero voluti la campagna di Hitler contro gli ebrei e l’arte moderna, e l’alleanza di Barr con Paul Rosenberg, il mercante di Picasso, per portare i dipinti più importanti di Picasso fuori dall’Europa. Allestita all’ombra della guerra, l’innovativa mostra “Picasso: Forty Years of His Art“, del 1940 avrebbe introdotto Picasso negli USA, definito il MoMA come lo conosciamo adesso e spostata l’attenzione del mondo dell’arte da Parigi a New York.

Attraverso un’abile combinazione di cultura e narrativa Hugh Eakin mostra come due uomini e la loro ossessione per Picasso abbiano cambiato per sempre il mondo dell’arte.


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