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Gaza, Caucaso e Russia

Gaza, Caucaso e Russia

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Su Valigia Blu Giovanni Savino, studioso del nazionalismo russo presso l’Università Federico II, descrive il contesto del tentato pogrom di Machačkala, in cui una folla inferocita ha preso d’assalto un aeroporto in cui era atterrato un volo da Tel Aviv. Savino spiega che i rapporti fra Israele e la Russia post-sovietica sono stati tradizionalmente buoni, anche grazie al peso demografico degli israeliani russofoni (che rappresentano quasi un quinto della popolazione). Anche se in alcuni conflitti regionali Tel Aviv e Mosca si sono ritrovati su lati opposti della barricata, hanno mantenuto molti contatti e hanno cercato di non pestarsi i piedi a vicenda, per esempio in Siria.

La causa palestinese però è diventata popolare fra le numerose minoranze musulmane della Russia. Kadyrov, che si è proposto come massimo rappresentante dei suoi correligionari, ha detto testualmente che il fascismo israeliano è peggiore di quello nazista, e varie manifestazioni di piazza nella zona del Caucaso, anche prima del 29 ottobre, hanno assunto toni apertamente antisemiti.

Sabato 28 ottobre nella città di Chasavjurt, in Daghestan, centinaia di persone si sono radunate attorno all’hotel Flamingo, dove, secondo le voci circolate su Telegram e per strada, sarebbero stati alloggiati dei rifugiati israeliani: solo dopo che una delegazione dei manifestanti è entrata nell’albergo per verificare se fosse vero, le proteste sono cessate e la direzione ha affisso un cartello dove si vieta l’ingresso ai “cittadini d’Israele (ebrei)” e specificando come non vi fossero tra i propri clienti. Le voci sull’arrivo di profughi da Israele si sono diffuse anche nella repubblica di Karačaevo-Čircassia, distante circa 400 chilometri dal Daghestan, con una petizione, presentata da 500 persone, in piazza a Čerkessk, di cui 34 fermate dalla polizia per manifestazione non autorizzata e per la rivendicazione avanzata dai partecipanti alla protesta di espellere gli ebrei dal territorio repubblicano.  (…)

Nella storia del Caucaso settentrionale, segnata dagli scontri interetnici e interconfessionali, non vi erano mai stati pogrom antiebraici né tantomeno azioni antisemite. Nell’impero russo i pogrom avvenivano nelle regioni occidentali, dove le comunità ebraiche erano numerose, e nelle grandi città, ma mai in questa regione, incrocio di culture e popoli.

Le proteste hanno permesso di coagulare un malcontento diffuso nella regione, in un contesto in cui le autorità locali sono rimaste senza indicazioni chiare su come reagire, il centro diffonde una retorica anti-occidentale che utilizza anche un immaginario antisemito, e Putin ha bisogno di tranquillità sul fronte interno, in vista delle elezioni del prossimo anno (il cui esito è scontato, ma il cui svolgimento sarà comunque un termometro del consenso interno).

Queste difficoltà sono visibili anche nella mancanza di chiarezza su cosa fare con gli arrestati (al momento circa un’ottantina), con la proposta avanzata di inviarli al fronte per “espiare la propria colpa”, prospettiva già delineata dal voenkor (corrispondente di guerra), Aleksandr Kots, che aveva invitato i manifestanti ad andare a Gaza o a Kyiv, al palazzo presidenziale, se davvero volevano uccidere degli ebrei. Tuttavia, le tensioni in Daghestan non sono una novità degli ultimi giorni, ma perdurano dallo scorso settembre, quando con la mobilitazione parziale blocchi stradali e manifestazioni spontanee interessarono la repubblica, e sono poi continuate con le proteste a causa dei continui guasti alla rete elettrica quest’estate, in un accumulo di scontento generale per la situazione locale.


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