Il blog Svirgolettate parla dei cavalli nella storia dell’arte. Esseri maestosi e aggraziati, i cavalli sono onnipresenti nella storia dell’arte, di volta in volta assumento valore sociale, simbolico, plastico, dinamico, onirico nelle opere che li raffigurano.
La prima testimonianza dei cavalli nell’arte è sicuramente nelle pitture parietali della Caverna di Lascaux. Il dipinto risale a più di 10.000 anni fa e probabilmente l’animale era ancora selvatico.
Con l’arte greca appaiono le prime raffigurazioni anatomicamente corrette, ma è solo con la statutaria romana che il cavallo è rappresentato in tutta la sua imponenza: le statue equestri erano simbolo di forza e potere, il cavallo un compagno in battaglia e una manifestazione di agiatezza nel quotidiano.
Raffigurare condottieri e personaggi meritevoli a cavallo è rimasta una tradizione per immortalarli, si pensi al monumento al Gattamelata (Donatello) e quello a Bartolomeo Colleoni (Verrocchio).
Ma è solo col Rinascimento che il cavallo da simbolo di status per il cavaliere diventa esso stesso oggetto di studio e soggetto principale nelle tele dei Maestri. E così nascono opere “dedicate” al quadrupede (La «Sala dei Cavalli» di Romano) o pittori specializzati come Giovanni da Udine.
Leonardo ci ha lasciato degli studi squisiti, Rubens delle opere dal dinamismo unico, David consacrerà Napoleone Bonaparte «in atteggiamento calmo, su un cavallo impennato». I romantici riverdanno la figura sotto l’aspetto onirico come J.H. Fussli con L’incubo.
La tradizione italiana dell’800 ha il suo vate in Giovanni Fattori, che raffigura sia il cavallo per immortalare sia gli sforzi del Risorgimento che nell’aspetto più intimo e agreste dell’Italia. Per il 900 saranno De Chirico e Boccioni a cimentarsi con il cavallo, per il secondo estremo simbolo di movimento, per il primo rimando ad una classicità sconosciuta e misteriosa.
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