La slavista Martina Napolitano indaga su Il Tascabile la funzione sociale della poesia soffermandosi sul rapporto tra essa e il popolo russo, soprattutto alla luce del crescente interesse verso questa particolare forma d’arte registratosi in Russia nel corso del confinamento dovuto alla pandemia da Covid-19.
Intorno a me c’è il Morbo Colera. Lo sai che belva terribile è questa? Purché non ci raggiunga qui a Boldino e non ci addenti!”. A scriverlo è Aleksandr Sergeevič Puškin, il 9 settembre del 1830. È iniziato l’autunno che si rivelerà il più prolifico per il poeta più influente nella storia della letteratura russa: in soli tre mesi, Puškin scrive Le piccole tragedie, I racconti di Belkin, innumerevoli poesie, nonché porta a termine il suo capolavoro, frutto di sette anni di lavoro, l’Evgenij Onegin, un romanzo in versi che Dostoevskij definì incarnazione letteraria della “vera vita russa, con una tale forza e con una tale compiutezza, quali mai ci furono prima o dopo Puškin”.
Immagine da Wikimedia.
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