Copenaghen rappresenta un modello di vita sostenibile ed è rinomata per la sua urbanistica a misura d’uomo, l’estensione delle sue piste ciclabili e la vivacità degli spazi pubblici.
Tuttavia, il percorso seguito dalla città per approdare a questi esiti affonda le sue radici in una serie di decisioni cruciali prese nel dopoguerra, come raccontato in un articolo del Guardian e in un capitolo di “Great Policy Successes”.
Un pragmatismo frugale
L’articolo del Guardian, scritto da Athlyn Cathcart-Keays e Tim Warin, approfondisce la congiuntura critica affrontata da Copenaghen negli anni ’60 e ’70. Durante questo periodo, molte città europee abbracciarono un approccio alla pianificazione urbana di tipo modernista e auto-centrico, caratterizzato dalla costruzione di grandi viali e di grattacieli, volto a rimodellare le città in spazi dominati dai veicoli a motore. Copenaghen ha invece imboccato un percorso diverso, influenzata in modo significativo dalla situazione economica dell’epoca.
“Negli anni ’60 e ’70 pensavamo che se si fossero costruiti enormi condomini con efficienti sistemi di viabilità, tutti sarebbero stati contenti… Ma la qualità della vita è qualcosa di più dei metri quadrati, del cemento, degli ascensori, delle autostrade e delle metropolitane”, racconta l’urbanista Søren Elle, evidenziando la mentalità prevalente del periodo.
L’articolo sottolinea come la povertà di Copenaghen nel secondo dopoguerra abbia giocato un ruolo cruciale in questa divergenza. La mancanza di fondi ha rallentato il progresso dei piani modernisti, consentendo ai residenti e ai pianificatori di verificare per tempo e in prima persona gli impatti negativi dello sviluppo incentrato sull’auto. Strutture temporanee furono allestite per dare un’idea dell’impatto che avrebbero avuto le strutture permanenti (dei galleggianti nei laghi per segnare il tracciato di una strada; dei palloncini per rendere evidente l’altezza del progetto di un hotel).
“Siamo stati fortunati che Copenaghen fosse povera dopo la seconda guerra mondiale”, suggerisce Elle, attribuendo a questa sfortuna economica il fatto che la città abbia evitato lo sviluppo di un’estesa rete stradale.
La resistenza dei cittadini e un approccio pragmatico hanno ulteriormente modellato lo sviluppo di Copenaghen. Importanti urbanisti come Jan Gehl promossero una pianificazione a misura d’uomo, che desse la priorità agli spazi pubblici e alle infrastrutture ciclistiche rispetto alle strade. La prospettiva di Gehl è racchiusa in questa riflessione:
“…avemmo l’intuizione che gli spazi comuni servissero a far uscire le persone dall’isolamento. C’erano questi pezzi grossi a favore delle delle autostrade, e poi ci sono stati i flussi contrari che si sono verificati tra il 1960 e il 1970. Un gruppo spingeva le auto fuori città, mentre altri cercavano di spingerle dentro”.
L’articolo del Guardian sottolinea il ruolo dei vincoli economici e della protesta pubblica nell’allontanare Copenaghen dagli esiti distopici visti in città come Birmingham, che hanno abbracciato pienamente la pianificazione incentrata sull’auto.
Il Fingerplan, un trionfo strategico
Da una diversa angolatura, Eva Sørensen e Jacob Torfing, in un capitolo di “Great Policy Successes“, offrono un’analisi dettagliata della pianificazione e della governance che hanno sostenuto lo sviluppo urbano di Copenaghen. Il testo si concentra sul “Fingerplan”, un piano urbanistico concepito nell’ottimismo post-bellico (1945-1948). Questo piano prevedeva l’espansione di Copenaghen lungo cinque “dita” di sviluppo urbano che si irradiano dal centro della città, separate da spazi verdi e collegate dal trasporto pubblico.
Il Fingerpalen è stato uno sforzo collaborativo frutto dall’impulso dato da un gruppo privato, l’Urban Planning Lab, e implementato dall’ufficio di pianificazione regionale. Si è trattato di un’iniziativa politica dal basso, che ha raccolto un forte sostegno politico e popolare, diventando infine la dottrina di pianificazione ufficiale per l’area metropolitana di Copenaghen.
“Fingerplanen è stato un piano ambizioso per come la futura urbanizzazione nell’area metropolitana di Copenaghen avrebbe dovuto raggrupparsi attorno agli assi di traffico regionali per treni e automobili che corrono radialmente dal centro città lungo cinque dita, creando zone residenziali separate da aree verdi”, spiega il testo.
Questo progetto ha trovato un equilibrio tra lo sviluppo urbano e la conservazione degli spazi verdi, garantendo in un ambiente urbano delle condizioni di vita di buona qualità.
Sørensen e Torfing evidenziano come fattori chiave del successo: lo spazio concesso all’autonomia professionale; l’inclusione di tutte le parti interessate nella fase decisionale; l’adattabilità del piano.
“Il Fingerplan si basava sul presupposto che la crescita nel settore imprenditoriale e immobiliare fosse inevitabile e impossibile da fermare”, osservano, sottolineando la flessibilità del piano nell’accogliere tassi di crescita superiori alle attese e nuovi sviluppi.
Viene sottolineata anche l’importanza della tempistica, che ha permesso di capitalizzare sull’entusiasmo del dopoguerra per ottenere una pianificazione razionale e di insieme. Questa visione strategica è stata integrata da un solido modello di governance che ha permesso di trovare un punto di incontro tra autorità locali, regionali e nazionali, nonché gli altri stakeholder.
Il successo di Copenaghen testimonia il potere delle scelte pragmatiche e della lungimiranza strategica. I due testi offrono assieme uno sguardo sui complessi fattori che hanno modellato lo sviluppo della città, evitando le trappole dell’urbanizzazione incentrata sull’auto (Anversa e Milano sono citate come esempi negativi).
Video
Un video del canale RMtransit descrive con maggior dettaglio il sistema dei trasporti su rotaia di Copenaghen, con la metro che approssimativamente serve il palmo della mano e dei treni locali (S-Tog) che permettono lo spostamento lungo le dita.
Bonus track
Già che siamo in argomento, un altro video di RMtransit analizza il tema dello sprawl e del job sprawl in particolare (“the worst type of sprawl”), che di fatto incentiva l’uso dell’auto. Il fingerplan di Copenaghen viene citato tra i controesempi virtuosi.
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