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Il reddito e l’intreccio delle working class

Il reddito e l’intreccio delle working class

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Oggi, sabato 27 maggio, si tiene a Roma la manifestazione Ci vuole un reddito, sorta su iniziativa di diverse realtà romane tra cui l’associazione mutualistica Nonna Roma e la Camera del Lavoro Autonomo e Precario (Clap). Ne parla su Jacobin Italia Salvatore Cannavò.

La campagna coglie un vuoto: cosa succede nel corpo sociale con la messa in discussione di una delle poche misure degli ultimi decenni che ha toccato il nervo scoperto della povertà sociale, sia pure in forme parziali e, soprattutto nelle forme di workfare, discutibili. Il Reddito di cittadinanza è infatti la misura simbolo del M5S al governo, paradossalmente ottenuto nel momento in cui il governo è gestito in condominio con il razzismo leghista, che diventa per converso il simbolo della restaurazione da compiere. Già il governo Draghi inizia una parziale opera di smantellamento, rendendo più difficile rifiutare proposte di lavoro indecenti e soprattutto incuba un attacco politico e culturale – che passa sotto la narrazione orientata dei «divanisti – che viene reiterato per mesi e mesi anche da forze sedicenti progressiste. Con il governo delle destre, e con la propaganda di Giorgia Meloni innanzitutto, si passa al primo e vero smantellamento: il Reddito viene di fatto abolito, nasce l’Assegno di inclusione che crea disparità di trattamento e discriminazioni evidenti in base all’età e alla situazione familiare e si forma una più decisa forma di ricatto sociale con la nascita del Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl), rivolto ai soggetti tra 18 e 59 anni in condizioni di povertà assoluta e senza i requisiti per accedere all’Assegno di Inclusione. L’Sfl si traduce in un assegno mensile di 350 euro per 12 mesi fortemente legato alla disponibilità ad accettare, di fatto, qualsiasi tipo di lavoro.

 

 


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