In occasione della mostra antologica recentemente conclusasi a Palazzo Reale a Milano, l’Espresso pubblica un’intervista di Roberto Andò al fotografo Ferdinando Scianna.
«Il sole, lo ripeto sempre, a me interessa perché fa ombra: è così drammatico che produce dialetticamente il suo contrario»: questa è una delle affermazioni più famose del fotografo siciliano.
Ferdinando Scianna nacque a Bagheria, in Sicilia, nel 1943 in una famiglia modesta che sognava di vederlo diventare medico o avvocato. Ma Ferdinando iniziò molto presto ad amare la fotografia, quando ricevette durante il liceo in regalo dal padre la sua prima macchina fotografica. Nel 1963 conobbe Leonardo Sciascia e tra loro nacque una grande amicizia. Nel 1965 Scianna riuscì a pubblicare Feste religiose in Sicilia, lavoro fotografico con testi e prefazione di Leonardo Sciascia. Iniziò così la sua carriera che lo portò a diventare inviato speciale e corrispondente da Parigi per l’Europeo. Nella capitale francese conobbe Henri Cartier-Bresson, il cui lavoro lo aveva influenzato fin dalla gioventù. Il grande fotografo lo introdurrà nel 1982 come primo italiano nell’agenzia fotografica internazionale Magnum Photos.
Che cosa le ha lasciato Sciascia?
«Gli anniversari sono quasi sempre l’occasione per i più sorprendenti fraintendimenti. È accaduto anche a Sciascia. Tra pochi giorni compio settantanove anni. Quando ho conosciuto Sciascia ne avevo quasi venti. Aveva visto la mia prima mostra al circolo culturale di Bagheria, in cui esponevo le mie fotografie di feste popolari siciliane. Mi riferirono che gli erano piaciute. Dopo qualche mese, andai a trovarlo nella sua casa di campagna a Racalmuto e quell’incontro cambiò la mia vita. Mi portavo dietro una autentica enciclopedia di ignoranza. Non sapevo niente di Leonardo; in realtà non sapevo niente di niente. Le cose che mi disse ebbero un’influenza addirittura retroattiva sulla mia maniera di concepire la vita e la fotografia. Grazie a lui nacque il mio primo libro con quel suo testo memorabile: “Feste religiose in Sicilia”. Avevo ventun anni. Da quell’incontro e da quel libro è nato tutto. Un padre, in effetti, un maestro, un amico irripetibile. Quello che mi ha lasciato, dopo ventisei anni di amicizia, è la parte migliore di quello che sono, soprattutto quello che lui era».
E’ possibile leggere un’intervista all’artista anche su Nikonschool:
…non mi interessa la bella fotografia, mi interessano le fotografie che raccontano qualcosa, è allora che raccontano il mondo. Naturalmente, dire reportage e dire fotografia per me è la stessa cosa, dire viaggio e dire fotografia è la stessa cosa. Paolo Monti diceva che le fotografie si fanno con i piedi. Io l’ho capito benissimo, da subito, e ancora di più quando i piedi non sono stati così disponibili all’avventura. Perché un fotografo cerca. Un pittore può andare a vivere in una casa sulla scogliera e riproporre immagini della sua esperienza. Un fotografo le proprie immagini le trova. È questo che fa il fotografo. Guarda il mondo e ogni tanto ne riconosce un istante significativo, significativo sul piano del racconto, e naturalmente tanto di più la forma lo accompagna tanto di più e di più significante viene raccontato. Insomma, per me foto e racconto è veramente un sinonimo. Non ho mai pensato alla fotografia altrimenti che così.
Interessante anche la riflessione di Scianna sull’evoluzione della fotografia:
Io sono in forte perplessità intorno all’evoluzione della fotografia. Penso che la vicenda storica della fotografia, che nasce in epoca positivista con l’esigenza di misurazione e conoscenza del mondo (io l’ho scelta per questo), non corrisponda più alla dimensione culturale di oggi. Gli uomini hanno vissuto qualche milione di anni senza la fotografia, probabilmente possono cavarsela di nuovo senza la fotografia. Quello che sicuramente non può scomparire è l’esigenza appunto di esplorare, di sperimentare, di capire il mondo e, attraverso il mondo, se stessi. Di indignarsi, di vedere le differenze o le affinità. E in questo la parola e la fotografia vanno insieme. La fotografia concettuale o estetica non mi interessa, nel senso che non puoi guardare a una fotografia come guardi un quadro. Perché il quadro è nel talento di chi lo ha fatto, invece la fotografia per quanto straordinaria possa essere è sempre soprattutto il reperto di qualche cosa di reale che in quell’istante era davanti al fotografo. Se no, non avremmo le foto sulle carte d’identità e non avremmo in tasca le foto del proprio figlio, della madre che è morta. Perché sappiamo che sono un pezzo di esistenza.
Concludiamo con il profilo di Ferdinando Scianna sul sito di Magnum Photos e la scheda a lui dedicata.
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