Su suggerimento di @Giovanni.
Michele Boldrin spiega su Linkiesta perché la mancanza di una politica europea sulle strategie globali come la Belt and Road Initiative cinese è deleteria.
Malgrado l’ennesima gaffe politica, il governo italiano non firmerà il memorandum per l’adesione alla nuova via della Seta. Ma il punto è che l’Europa, sulle strategie globali, non c’è. E invece dovrebbe, perché l’accordo con la Cina potrebbe farle molto bene. Basta che ci sia un vero scambio.
Stefano Riela e Alessandro Gili si occupano, in un articolo per l’ISPI, delle reazioni dei vari paesi europei all’iniziativa cinese.
Negli ultimi cinque anni abbiamo familiarizzato con il progetto cinese Belt and Road Initiative (BRI), noto anche come One Belt One Road (OBOR), per migliorare i collegamenti tra la Cina e l’Europa passando per l’Asia centrale e per l’Africa. Un progetto significativo per la sua dimensione economica e geografica: investimenti per 1.000 miliardi di dollari in oltre 70 paesi rappresentanti oltre il 30% del PIL mondiale, il 62% della popolazione e il 75% delle riserve energetiche conosciute.
Francesca Menanti ha analizzato per il CESI gli investimenti cinesi in Europa.
Nelle ultime settimane, si è riacceso il dibattito sull’iniziativa cinese della Belt and Road (BRI), il mega progetto lanciato dal Presidente cinese Xi Jinping nel 2013 per realizzare nuove reti di interconnessione (fisiche e digitali) tra Asia, Africa ed Europa. Conosciuta anche con il nome di Nuove Vie della Seta, BRI si propone come strumento per la realizzazione di un nuovo modello di globalizzazione, in cui la Cina possa emergere come baricentro alternativo al sistema Stati Uniti-centrico consolidatosi negli ultimi decenni. Il disegno delineato da Pechino, tuttavia, è un framework concettuale utilizzato dal governo per inserire le relazioni con gli altri Paesi all’interno di un percorso riconoscibile, che consenta di ricomprendere sotto un unico ombrello un ampio ventaglio di tavoli di trattativa.
Immagine da wikimedia.
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