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Meglio soli o male accompagnati? AI e solitudine

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Nel suo articolo A.I. Is About to Solve Loneliness. That’s a Problem, pubblicato sul New Yorker nel luglio 2025 (versione free: qui), lo psicologo Canadese Paul Bloom solleva una questione cruciale: risolvere la solitudine con l’intelligenza artificiale potrebbe essere un rimedio che indebolisce il legame umano.

Bloom paragona la solitudine al dolore fisico: un meccanismo evolutivo indispensabile per motivarci a cercare connessioni reali. Se affidiamo il nostro bisogno di empatia a un interlocutore artificiale sempre disponibile e asservito, rischiamo di anestetizzare il segnale che ci spinge a costruire e mantenere relazioni autentiche.

L’autore riconosce che in contesti di isolamento estremo — come la vita solitaria di molti anziani o persone con disabilità — la compagnia digitale può essere un sollievo reale e dignitoso. Tuttavia, emerge con forza un monito: l’IA non dovrebbe diventare un sostituto delle relazioni umane, ma un ponte verso di esse. Bloom invita a una riflessione sulla fragilità dell’empatia artificiale: essa può rendere più facile stare soli con se stessi, ma forse rende più difficile stare insieme agli altri.

Per un pubblico italiano, due contributi risultano particolarmente significativi. Innanzitutto, un articolo su Substack analizza proprio questo tipo di problematiche: L’intelligenza artificiale può davvero curare la solitudine? — una riflessione provocatoria che riprende lo stesso interrogativo centrale sollevato da Bloom. In secondo luogo, su HBR Italia, il pezzo Il simil‑pensiero di ChatGPT esplora il rapporto tra filosofia della mente, empatia e IA generativa, richiamando la distinzione essenziale tra il pensiero umano incarnato e le risposte simulate di un algoritmo.

Questi testi, pur partendo da contesti diversi, convergono su un punto: la tecnologia può rassicurare, ma non può provare. A chi ha una visione progressista, ma tiene ancora alla ricchezza delle relazioni umane, vale la pena riflettere sul bilancio tra comfort artificiale e crescita emotiva reale. L’uso consapevole dell’intelligenza artificiale può aumentare il nostro benessere, ma solo se resta uno strumento — e non diventa la nostra unica fonte di ascolto, cura e connessione.


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