A cura di @Apollyon.
Un articolo di Econopoly critica la strategia comunicativa di Greta Thunberg sulla questione ambientale, affermando che le soluzione proposte non tengono conto del costo politico dei provvedimenti auspicati, destinati a ripercuotersi sui ceti occidentali meno abbienti e sui paesi più poveri.
Al di là delle intenzioni e della retorica, Greta si fa portatrice di un’ideologia reazionaria e paternalistica che trasforma prospettive universali come la solidarietà, l’equità o la giustizia in patenti che i migliori attribuiscono di volta in volta agli argomenti che ritengono degni.
Questa non è l’unica distorsione inquietante nel messaggio di Greta. La giovane, infatti, non affronta mai il tema della giustizia sociale nei suoi interventi ma fa frequenti riferimenti alla distribuzione delle risorse su scala globale, rilanciando un tema caro agli intellettuali europei: il terzomondismo.
Tuttavia, quando l’adolescente ricorda che una piccola minoranza della popolazione mondiale consuma la larga maggioranza delle risorse, dimentica che oramai più del 60% delle emissioni di gas climalteranti (a effetto serra, che aumentano il riscaldamento globale) di natura antropica proviene da economie emergenti. Tralascia che, mentre UE e USA tagliano le emissioni di CO2 da almeno un decennio, la Cina raggiungerà, auspicabilmente, il picco entro il 2030 e l’India, presumibilmente, durante il decennio successivo.
Sovrapporre il tema dello sfruttamento delle risorse a quello del riscaldamento globale permette a Greta di evitare un nodo fondamentale ma al contempo sdrucciolevole del problema: il ruolo dei Paesi in via di sviluppo.
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