Torna la newsletter di Edoardo Toniolatti sulle elezioni tedesche con un nuovo nome.
La sera del 7 dicembre 2017 la carriera politica di Olaf Scholz sembrava se non proprio finita, almeno profondamente compromessa.
Il sindaco di Amburgo veniva da una lunga serie di batoste che avrebbero messo alle corde chiunque. Quando a gennaio del 2017 la SPD inizia a quagliare sulla candidatura alla Cancelleria per il voto di settembre, il suo nome circola come papabile, visto che è sempre più evidente lo scarso favore presso i tedeschi di cui gode Sigmar Gabriel – capo del partito e pretendente naturale; i socialdemocratici decidono però di puntare su Martin Schulz, e a lui tocca ingoiare il rospo.
A luglio, poi, nella sua Amburgo si tiene il G20, e la città viene travolta dalle proteste violente e dagli scontri fra polizia e autonomi. Scholz, che alla vigilia aveva tranquillizzato tutti assicurando che l’evento si sarebbe svolto senza incidenti, viene sommerso dalle critiche e trascinato sul banco degli imputati per non aver saputo gestire la crisi, tanto che la CDU locale ne chiede le dimissioni.
Infine, ai primi di dicembre si tiene il congresso della SPD, che reduce da un risultato semidisastroso alle elezioni di settembre deve rinnovare le sue cariche di vertice, e soprattutto decidere se accettare la proposta di continuare la Grosse Koalition che viene da Angela Merkel. La rielezione del leader, Martin Schulz, è scontata, ma qualche sorpresa si verifica quando vengono votati i sei vice: Scholz ce la fa, ma con una percentuale bassissima, solo il 59,2%. Due anni prima aveva preso l’80%. Isolato dentro il partito, in cui rappresenta una delle poche voci critiche nei confronti di Schulz, e poco amato fuori, il sindaco di Amburgo sembra ormai destinato ad una mesta uscita di scena.
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