Su Hakai Magazine Moira Donovan, giornalista freelance specializzata in ecologia e ambiente, ci parla di Sable Island/Île de Sable: una stretta mezzaluna di dune in mezzo all’oceano, a 160 chilometri dalla Nuova Scozia. Famosa per essere stata al centro del “cimitero delle navi” del Nord Atlantico, e per il suo clima spesso nebbioso e inframmezzato da cicloni, fu una delle prime aree candesi scoperte dai marinai europei nell’era delle esplorazioni.
Possiede una grandissima importanza ecologica come biotopo “di frontiera” e ospita le zone di accoppiamento di una sottospecie di passero unica al mondo, accoglie inoltre più di trecentocinquanta specie di uccelli in una “tappa fissa” delle vie migratorie, sei specie endemiche di invertebrati e la più grande colonia della Terra di foche grigie. In buona parte tale ricchezza deriva, oltre che da condizioni di insediamento difficili per specie alloctone, da una lunga ed attenta storia di conservazione ambientale, che ha fatto recuperare uno stato di “naturalità”.
Ma c’è un ma. I residenti più fotogenici ed amati dell’isola, quelli che hanno risvegliato molte coscienze a salvarla e ripristinarla, sebbene abbiano tre secoli di presenza in zona e siano ben radicati nell’immaginario, sono decisamente poco “auctotoni”. I loro zoccoli (non pochi per un’area così piccola) potrebbero essere meno graditi alle piante di ammofila che ai fotografi i quali da più di un secolo usano gli stupendi equini come modelli. Ovviamente i cavalli non sono sconosciuti o confinati nei box in Canada, sebbene questi conducano una vita particolarmente difficile; ma altrettanto ovviamente anche l’immagine di animali tanto simbolici che vivono in una specie di “deserto” in mezzo al mare è potente.
La situazione è complessa e poco chiara (anche perché non è semplice misurare l’impatto di una specie che presiste gli studi ecologici, specie in una zona che ha visto uno sfruttamento antropico maggiore), ed alcuni studi sperimentali stanno cercando di fare chiarezza. Ma in fondo la domanda è più filosofica, se vogliamo: è giusto considerare una riserva naturale solo su criteri di “purezza” e non anche più “romantici”? È spendibile come posizione presso il grande pubblico, notoriamente innamorato delle specie più carismatiche, anche eventualmente a scapito di altre che non si possono facilmente mettere appese al muro di un ufficio?
Proponents of leaving the horses unmanaged often point out that the island’s ecology has changed alongside the horses and, in a way, this applies to ponds, too; across Sable Island, freshwater ponds blink in and out of existence, sometimes over the course of a single year. Of the ponds Medeiros has studied, only one pre-dates the 20th century. That older pond dates back to the 1700s, but since the horses arrived then, too, establishing a pre-horse baseline against which the island’s freshwater ecosystems could be measured, let alone restored, is tricky—especially as the island itself is constantly changing. “How could you restore an ecosystem that didn’t exist prior to the impact?” Medeiros says.
L’articolo può anche essere ascoltato, in inglese, sotto forma di podcast su PodBean.
Commenta qui sotto e segui le linee guida del sito.