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Self-made Man di Norah Vincent

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Il Guardian propone un estratto di Self-Made Man di Norah Vincent. La scrittrice si è finta uomo per 18 mesi.

Vincent ha preso questo esperimento molto seriamente, con un «travestimento» fin nei minimi dettagli:

Per completare la trasformazione fisica, sono andata alla ricerca di una protesi del pene che potessi indossare non solo per la verosimiglianza. In un sexy shop del centro di Manhattan ho trovato un «moscio impacchettabile». Questo oggetto, che ho soprannominato Sloppy Joe, era un membro flaccido progettato appositamente per quello che i drag king chiamano «impaccare», o riempire, i pantaloni. Era meglio di un calzino e avrebbe dato a me, se non ad altri, un’esperienza più realistica della «virilità». Per tenerlo in posizione lo indossavo all’interno di un sospensorio.

Conciata in questo modo, Vincent ha fatto esperienza di molte attività generalmente considerate appannaggio degli uomini (entrare in uno strip club, iscriversi a un club di bowling) o dalla prospettiva maschile (come un appuntamento). Nell’intervista a NPR, l’autrice riflette su quello che ha imparato, come il cameratismo maschile:

Sì, sono rimasta sorpresa nel constatare che mi aspettavo che gli uomini fossero un po’ lupi quando si incontrano. Pensave sempre che gli uomini siano molto competitivi e territoriali. Invece, incontrando uomini sconosciuti, e questo è successo molte volte, non solo questa sera al bowling, ho scoperto che la stretta di mano di un uomo sconosciuto era incredibilmente accogliente. Era come se mi unissi a questo cameratismo che mi sembrava molto antico. E, sapete, ho fatto un confronto, credo, nella mia esperienza personale con molte strette di mano che ho sperimentato con donne che non conoscevo.

Come uomo, Vincent non veniva più importunata per strada da sconosciuti. Il rovescio della medaglia è in qualche aneddoto caustico sugli appuntamenti quando hai passato i trenta

Per queste donne, gli uomini come sottospecie – e non gli uomini particolari con cui erano state coinvolte – erano da biasimare per il naufragio di una relazione e per il danno psichico che aveva causato loro. Non sorprende quindi che in questa atmosfera, come uomo single che frequenta donne, mi sia sentito spesso attaccato, giudicato, sulla difensiva.

In molti dei miei appuntamenti le donne tiravano le fila del discorso, anche le più timide. Le ascoltavo parlare letteralmente per ore dei dettagli più minuti e noiosi della loro vita personale: uomini di cui erano ancora innamorate, uomini da cui avevano divorziato, coinquilini e colleghi che odiavano, infanzie che detestavano ricordare ma che in qualche modo trovavano l’energia per raccontare fino alla nausea. Ascoltarle era come sottoporsi a una lenta lobotomia frontale.

I lati più bui per Vincent sono di una nuova esperienza di solitudine, del fatto di sentirsi vulnerabile. Durante i 18 mesi Vincent ha rivisto alcune sue convinzioni su come la società tratti differentemente i due sessi, concludendo che da uomo si aspettava una vita migliore e in qualche modo «più facile» ma che «mi è servito mettermi nei loro panni per capire che non era così».


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