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Sport e gender, una storia intricata: il caso Semenya e quello della pallavolista Pereira

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Su suggerimento di @cincinnato piti.

Nella società, la questione dell’appartenenza di genere si ta indirizzando a una piena libertà di viversi per come ci si sente e per come si è. Nello sport ad alto livello però si pone un problema; da un lato, quando una persona con caratteristiche ormonali legate alla mascolinità gareggia in competizioni femminili non tutte la prendono bene, dall’altro ci si interroga sull’opportunità di mantenere nello sport agonistico, che ha caratteristiche ed esigenze proprie è non sempre conformi al resto del vivere civile, una linea diversa rispetto a quella che si terrebbe nella vita di tutti i giorni.

Ultimo Uomo qualche tempo fa ha riassunto il caso della mezzofondista sudafricana Castor Semenya, il cui apparire nel mondo della pista scatenò polemiche molto forti, a loro volta oggetto di risposte non meno veementi. Si tratta in sostanza di una donna che ha un livello di testosterone (fattore atleticamente di grande favore) e un’appartenenza di genere tali da far dubitare della sua natura squisitamente femminile, qualunque cosa ciò significhi. Da un lato è un tema delicato che non si vuole far arrivare alla discriminazione, dall’altra va tenuto conto delle avversarie, frustrate dalla sensazione di perdere contro una persona che, secondo loro, dovrebbe gareggiare con gli uomini.

Nei giorni scorsi si è parlato di un caso non identico ma certo apparentabile: una pallavolista brasiliana, Tiffany Pereira, ingaggiata dal club di A2 Golem di Palmi. Questa però, fino a un po’ di tempo fa, si chiamava Rodrigo e gareggiava con le persone del proprio sesso. Ci sono state polemiche, alcune provenienti dal club Millennium di Brescia. Del resto, per quanto il passaggio di sesso depotenzi l’ex atleta uomo, il punto di partenza non può non destare perplessità.

 

Immagine di Citizen59 via Flickr, CC BY-SA 2.0


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