In un lungo articolo pubblicato su Il Tascabile, Giancarlo Cinini, passando in rassegna alcuni studi, ripercorre la storia di quella che definisce suvizzazione dell’automobile, indagando le ragioni culturali, economiche e sociologiche dietro il progressivo aumento delle dimensioni dell’auto.
“El g’ha el Süv, lü l’è el baüscia milanes”, recitava – più di dieci anni fa – il ritornello della canzone di una pubblicità. Sfotteva i SUV che intasavano già le città, e i baüscia alla guida che li compravano per status, sbruffoni di taglia imprenditoriale diretti a Courmayeur. “Inquina? Fatti tuoi!”. Quella pubblicità vendeva però a sua volta un SUV, certo più compatto ed economico degli altri, e costruito dalla Skoda, ma era pur sempre una sorta di SUV. Il campo delle alternative si era già ristretto.
Che nelle strade delle città europee circolassero automobili sempre più massicce ce n’eravamo accorti da tempo. La canzone sollevava, a modo suo, la questione ecologica o di un rapporto più complicato con lo spazio dei centri urbani. Stereotipizzava anche l’aggressività dei suoi conducenti, un’arma di cui però si riappropriarono presto le pubblicità dei SUV “canonici”: la BMW, nel 2019, lanciò il suo lussuoso X6, descrivendolo come un capobranco con “attributi da maschio dominante”.
Dopo aver ripercorso brevemente la storia di questa categoria, intrecciata con la recente crisi del mercato automobilistico, si prova a dare delle spiegazioni sul successo dei SUV. Una ragione è prettamente economica.
I SUV sono infatti costruiti a partire da piattaforme di berline. Perciò i costi di produzione sono ridotti e però, sottolinea Fanen, “sono considerati di più alta gamma rispetto alle berline. Dunque, i gruppi automobilistici fanno una berlina, ne fanno una versione più muscolosa e la vendono a migliaia di euro in più”. Secondo le stime, nel 2020 in Europa il prezzo di un SUV era superiore mediamente del 59% rispetto a quello di una berlina. “Per l’industria è un modo di incassare il massimo dei soldi perché si sa bene che la transizione verso i veicoli elettrici sarà lenta e costosa. Insomma, il SUV è l’ultima sigaretta prima della morte del mercato dell’auto per come lo conosciamo e della morte di un secolo a benzina”.
Ci sono però anche altri fattori: la sicurezza (percepita) di sentirsi protetti dentro una macchina più grande, più alta e massiccia; il senso di individualismo e possibilità di manifestare ricchezza verso l’esterno, una caratteristica che da secoli accompagna i mezzi di trasporto.
Gorz la chiama l’ideologia sociale della macchina. Sono passati cinquant’anni eppure oggi ci stupiamo lo stesso fronte all’inasprimento visibile della potenza individuale, muscolare, di queste nuove auto. Forse perché negli anni Novanta la diffusione di grandi macchine significava monovolume vendute come veicoli per famiglie e non corazze individuali. Però nella prospettiva di Gorz i SUV, cinquant’anni dopo, non sarebbero altro che l’ennesima materializzazione di quella rivalsa e di quell’egoismo, portato alle sue estreme conseguenze estetiche. “La maggior parte di questi veicoli cercano potenza, ma anche, direi, violenza”, commenta Le Quément. “Quando guardiamo alla nuova concept car di lusso della BMW siamo di fronte a una degenerazione di questa espressione dell’aggressività verso gli altri utilizzatori della strada”.
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