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Le vittime civili dei droni

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Azmat Khan sul New York Times illustra i risultati di un inchiesta sui «danni collaterali» da bombardamenti-drone. Questa è la prima parte di una (link alternativo); La seconda parte esamina il bilancio umano della guerra aerea.

La promessa della guerra telecomandata era basata su una serie di attacchi portati da droni onniveggenti e bombe di precisione. I documenti mostrano invece che ci sono state informazioni erronee, obiettivi sbagliati, anni di morti di civili e scarse assunzioni di responsabilità. Khan a cominciato la sua ricerca con una Freedom of Information request: il NYT ha ricevuto solamente la metà dei documenti in oggetto (per lo più riguardanti il conflitto in Siria, anni 2014–2018), mentre le informazioni sugli “errori” dei droni in Afghanistan sono stati omessi e ancora oggetto di una causa civile per l’accesso.

Ogni report del governo statunitense parte da delle informazioni di intelligence, che può essere sia interna (i servizi di sicurezza stessi) o esterna (per esempio una ONG che opera in un teatro di guerra o un giornalista). A questo punto l’analista dedicato alla segnalazione fa il conto delle vittime civili presunte tenta di ricostruire i fatti facendoli combaciare con le informazinoi riservate a cui ha accesso (ora e data dell’attacco drone, obiettivo dell’attacco, etc). Alla fine del lavoro di indagine il responso sarà credible o non credible.

Ma quanto sono veritiere queste statistiche? Khan e altri giornalisti del NYT si sono recati sui luoghi degli attacchi e hanno confrontato i dati di un rapporto giudicato non credible con le prove sul campo:

Poco prima delle 3 del mattino del 19 luglio 2016, le forze delle operazioni speciali americane hanno bombardato quelle che credevano essere tre “aree di sosta” dell’ISIS alla periferia di Tokhar, una frazione fluviale nel nord della Siria. Hanno riferito di 85 combattenti uccisi. In realtà, hanno colpito case lontane dalla linea del fronte, dove i contadini, le loro famiglie e altre persone locali cercavano rifugio notturno dai bombardamenti e dai colpi di arma da fuoco. Più di 120 abitanti del villaggio sono stati uccisi.
All’inizio del 2017 in Iraq, un aereo da guerra americano ha colpito un veicolo di colore scuro, ritenuto un’autobomba, fermo a un incrocio nel quartiere Wadi Hajar di Mosul Ovest. In realtà, l’auto non portava una bomba, ma un uomo di nome Majid Mahmoud Ahmed, sua moglie e i loro due figli, che stavano fuggendo dai combattimenti nelle vicinanze.
Nel novembre 2015, dopo aver osservato un uomo che trascinava un “oggetto pesante sconosciuto” in una “posizione di combattimento difensivo” dell’ISIS, le forze americane hanno colpito un edificio a Ramadi, in Iraq. Una revisione militare ha scoperto che l’oggetto era in realtà “una persona di piccola statura” – un bambino – che è morto nell’attacco.
Nessuno di questi fallimenti mortali ha portato alla constatazione di un illecito.
Questi casi sono tratti da un archivio segreto del Pentagono sulla guerra aerea americana in Medio Oriente dal 2014.

Khan prosegue mettendo in dubbio che vi fosse la «ragionevole certezza» dell’identificazione degli obiettivi e men che meno una «ponderazione dei danni ai civili rispetto agli obiettivi militari perseguiti» (entrambe linee guida per i drone strike). Il framework legale per un attacco non servirebbe per tutelare la popolazione civile da tragedie e abusi ma anzi, per permettere a tutta la catena di comando una maggiore libertà di manovra, assolvendo in ultima istanza ogni uccisione di un non-combattente come «collateral damage».


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