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Tv e servizio pubblico: le buone intenzioni non possono bastare

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Su suggerimento di @GiMa.

 

Aldo Grasso pubblica una riflessione sulla Tv e il servizio pubblico, chiedendosi se quest’ultimo non sia ormai privo di senso. Con gran dispiacere di Popper, il mito della tv come strumento pedagogico e civile potrebbe essere un mito. Riporta l’idea di servizio pubblico ai totalitarismi (anche se ammette lui stesso che la nozione di servizio pubblico nasce per la radio nel Regno Unito nel 1923, non un paese dove era preponderante lo spirito totalitario europeo). Certo è che il regime fascista ha fatto del mezzo radiofonico (e anche cinematografico) uno strumento di propaganda.

La nozione di sp prende corpo con la radio, esattamente con la britannica Bbc nel 1923: nel «rapporto Sykes» si definisce la radiodiffusione come una public utility. Solo con il direttore John Reith la Bbc (nata come ente commerciale) subisce un’idealizzazione, il sogno umanistico di educazione delle masse: informare, educare, intrattenere. Con questo mantello di buone intenzioni, e senza scopo di lucro, nel 1927 la Bbc diventa una società pubblica che beneficia di un monopolio. Quando arriva la tv, e siamo già nel dopoguerra, tutti i governi si rendono conto della smisurata potenza del nuovo mezzo e, sul modello della Bbc, elaborano in forme diverse un’idea di sp come risposta democratica al consenso coatto. I media restano saldamente sotto il controllo dello Stato, ma la loro funzione non sarà più quella della bieca propaganda, bensì quella dell’educazione e della missione sociale.

Ad ogni modo, l’articolo prende spunto dal libro di Jérôme Bourdon, che vede fallita la missione del servizio pubblico nella costruzione di una “cultura europea” .

 

Immagine “Eurovision Song Contest 1958 – Domenico Modugno” di NTS – Beeld en Geluidwiki – Gallery: Eurovisie Songfestival 1958. Con licenza CC BY-SA 3.0 nl tramite Wikimedia Commons


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