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c00cina: 2 a 0 per il fast food in Europa

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Italia a Tavola commenta la crescita costante del fast food in Italia, fenomeno che si contrappone alla pervasiva celebrazione in salsa nazionalista della gastronomia italiana e della dieta mediterranea nella cultura di massa italiana.

E’ notizia recente (Agosto 2023) l’apertura del punto vendita numero 70, in Italia, di una delle catene di fast food più note a livello internazionale. Il KFC, famoso per proporre ai clienti quasi esclusivamente pollo fritto, si appresta a raggiungere velocemente quota 100, con l’obiettivo fissato (e già annunciato tempo fa) di tagliare il traguardo dei 200 negozi nel giro di 5 anni.(94 a Luglio 2024)

Estendendo lo sguardo ad altre catene di fast food, le più note sicuramente McDonald’s e Burger King, i numeri sono ancor più importanti. Il primo solo nel nostro Paese può vantare quasi 650 punti vendita, il secondo invece viaggia verso i 200 negozi. Praticamente ogni grande città d’Italia, ma anche nelle medio piccole, oggi c’è almeno un fast food, con una crescita esponenziale registrata negli ultimi anni.

Sempre più italiani mangiano fast food e  sempre meno italiani seguono quella che viene chiamata dieta mediterranea, nonostante mai come oggi forse viene esaltata l’alimentazione italiana nella comunicazione politica e mediatica.

Dati alla mano, infatti, ci accorgiamo come solo una piccola percentuale della popolazione italiana segua effettivamente la dieta mediterranea: secondo i dati del CREA (pubblicati sulla rivista scientifica Frontiers in Nutrition) appena il 13% della popolazione italiana confessa di avere un’alta aderenza alla dieta mediterranea, mentre il 30% dimostra, invece, di non rispettare quello che è stato considerato lo stile alimentare tra i più sani del mondo.

L’Italia non è però un’eccezione nell’Europa Continentale in quanto a successo del cibo industriale e veloce. La Francia negli ultimi anni ha dimostrato un forte aumento dell’offerta delle grandi catene di fast food americane, in particolare di quella che porta il marchio della Grande Emme, come riporta Le Monde.

Il marchio americano, leader mondiale del fast food, continua la sua espansione in Francia, aprendo 25-30 nuovi punti vendita all’anno. Attualmente conta circa 1.560 sedi nel paese e non ha intenzione di fermarsi. Nonostante la riluttanza a volte espressa, i clienti affollano i ristoranti per Big Mac, patatine e bibite. McDonald’s ha integrato variazioni locali nel menu e utilizza fornitori francesi per gli ingredienti, raggiungendo vendite di 6,1 miliardi di euro nel 2022, posizionandosi al secondo posto a livello mondiale per attività e redditività, subito dopo gli Stati Uniti.

Il grande rivale americano, Burger King, sta cercando di colmare il divario. Secondo la classifica di Food Service Vision delle catene di fast food, Burger King è al secondo posto, con vendite di 1,55 miliardi di euro nel 2022, ben davanti al KFC specializzato in pollo (vendite di 740 milioni di euro). Dopo un periodo di declino in Francia, Burger King è tornato all’offensiva quando il Groupe Bertrand ha rilevato il master franchise nel 2013.

Il modello del fast food in Francia ha così tanto successo da ispirare la creazione di marchi locali.

Ispirati dal modello anglo-americano, circa 15 anni fa alcuni imprenditori hanno lanciato la catena O’Tacos, che offre “tacos in stile francese”. Con vendite superiori ai 250 milioni di euro, il suo successo è evidente, superando anche la catena di sandwich Brioche Dorée di Le Duff. “Abbiamo identificato 211 catene di fast food con un totale di vendite di 14 miliardi di euro nel 2022,” ha dichiarato Blouin.

Le critiche a questi cambiamenti di abitudini alimentari ovviamente non mancano.

In molti ritengono che il proliferare del fast food, soprattutto in alcune zone delle aree urbane francesi, sia un sintomo di impoverimento, degrado e risultati di politiche urbane pessime.

La sovrarappresentazione di ristoranti kebab e burger, soprattutto gestiti indipendentemente, in alcuni quartieri e centri cittadini è talvolta vista come un sintomo di impoverimento. “È più complesso di così: illustra anche gli errori nelle nostre scelte commerciali e di pianificazione urbana,” spiega Pierre Raffard, geografo specializzato nell’industria alimentare.

Le aree commerciali suburbane stanno attirando i negozi tradizionali dai centri città, dove resistono solo i ristoranti fast-food economici. Inoltre, i negozi stanno gradualmente scomparendo dai grandi complessi di edilizia popolare nelle periferie di Parigi. Le catene di supermercati evitano ora certi quartieri per questioni di sicurezza, redditività e mancanza di gestori locali con sufficienti fondi per unirsi alla loro rete.

Rimangono piccoli negozi di alimentari, bar multiservizi, tabaccherie, negozi di telefonia e ristoranti fast-food. Questi ultimi sono una delle opzioni più facili per avviare un’attività nei quartieri popolari. “Dimostrano un’incredibile creatività, spesso sotto il radar,” osserva Mathieu Cornieti di Impact Partners, un fondo che sostiene questi imprenditori.


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