Che fare del patrimonio architettonico coloniale fascista? È possibile immaginare un riuso, senza correre il rischio di perpetuare eternamente questa stessa ideologia, e contro il pericolo dell’autoassoluzione e della nostalgia? Su Il Lavoro Culturale tre studiosi propongono la nascita di un Ente di decolonizzazione.
Nel 2017 Asmara la capitale dell’Eritrea è stata nominata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. La nomina, intitolata “Asmara – Citta modernista d’Africa”, fa riferimento alla trasformazione architettonica e urbana coloniale fascista e modernista di Asmara avvenuta durante l’occupazione coloniale italiana. Non esente da critiche, l’iscrizione di Asmara pone una serie di elementi problematici: dal rischio di presentare la città coloniale costruita dagli italiani come il modello di patrimonio urbano del continente africano, al pericolo di rinforzare impulsi nostalgici o costituire uno strumento di propaganda per il regime eritreo, fino al rischio di cedere ai paradigmi di conservazione dei beni architettonici e culturali eurocentrici imposti dall’UNESCO.
Nonostante queste controversie, la nomina di Asmara ha comunque posto per la prima volta una serie di domande fondamentali che riguardano e accomunano entrambi ex-colonizzati ed ex-colonizzatori: chi ha il diritto a preservare, riutilizzare e ri-narrare l’architettura coloniale fascista?
Immagine da Wikimedia Commons
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