Giornalisti del gruppo News Corp, e in particolare del Wall Street Journal, hanno avuto loro email e documenti compromessi da un non precisato attacco informatico al gruppo editoriale, scoperto il 20 gennaio e di cui ci sarebbero tracce che risalgono almeno al febbraio 2020. Questo vuol dire che per almeno un anno qualcuno è riuscito a leggere email e bozze di articoli di diversi reporter che scrivevano di temi come Taiwan, uiguri, regolamenti tech, amministrazione Biden-Harris, truppe e militari americani. Secondo la società di sicurezza Mandiant, chiamata a investigare il caso, esisterebbero elementi che portano a cyberspie al servizio di interessi cinesi, ma anche di questo aspetto (oltre evidentemente ai temi di interesse da parte degli attaccanti) abbiamo ben poco a disposizione al momento (The Verge). Sappiamo però che a essere compromessi sono stati soprattutto email e account Google Docs usati dai giornalisti (ma Google ha ribadito di non aver subito violazioni). Alcuni avrebbero avuto fino a una ventina di articoli/bozze “compromessi”.
Questa notizia riapre la tanto annosa quanto rimossa questione della sicurezza dei giornalisti (e delle loro fonti) in un tempo in cui sorveglianza, attacchi informatici, spyware rendono il lavoro giornalistico ancora più complesso e fragile di quanto già non fosse per la crisi dei media e il precariato.
Ma, come molte questioni sistemiche, non si può pensare di risolverlo delegando tutto alla buona volontà e capacità del singolo. Anche perché in molti casi l’attacco può andare dritto sul singolo, o passare direttamente attraverso il datore di lavoro. Qualcuno lo dica agli editori.
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