Su Jacobin Italia, Enzo Traverso riflette su quella che definisce la sacralizzazione dell’Olocausto, discutendo di memoria storica selettiva, colonialismo e funzione del metodo comparativo nell’analisi di eventi storici.
Una nuova «disputa tra storici» (Historikerstreit) sull’Olocausto sta scuotendo la Germania. La prima si era svolta oltre trentacinque anni fa, durante la Guerra fredda, quando il paese era ancora diviso e molti avevano un’esperienza diretta del nazismo e della Seconda guerra mondiale. Contro lo storico neoconservatore Ernst Nolte, che deplorava il fatto che la Germania rimanesse prigioniera di «un passato che non passa», Jürgen Habermas voleva fare la memoria dell’Olocausto un pilastro della coscienza storica tedesca.
Habermas e i suoi “vinsero”, e l’assunzione della colpa del genocidio divenne una delle basi fondanti dell’identità nazionale tedesca. Ora, però, una nuova generazione di studiosi ha avviato una nuova disputa, sulla legittimità delle comparazioni fra l’Olocausto e altre forme storiche di violenza. Traverso, sulla scia di molti studiosi, nota come la violenza nazista sia inscindibile dal colonialismo, che fornì degli esempi pratici e degli strumenti concettuali per attuare guerre di conquista e sterminio rivolte non contro degli stati sovrani, ma contro intere popolazioni. D’altra parte, i nazisti stessi rivendicarono la loro continuità con le guerre coloniali (e la segregazione razziale negli USA), tanto che secondo lo storico Timothy Snyder, l’olocausto rappresentò quasi un «surrogato» delle fallite ambizioni coloniali tedesche.
Questa linea di pensiero è ora accusata di sminuire l’importanza dell’Olocausto, mettendolo sullo stesso piano di altre forme di violenza. Traverso, pur mostrando entrambe le parti del dibattito, sostiene invece che questo atteggiamento non aiuti né la conservazione di una memoria condivisa, né la lotta alle forme di razzismo e xenofobia che ci sono ora.
Per certi aspetti, quello che Moses chiama il «catechismo tedesco» è la forma perversa di una religione civile. L’Olocausto come «religione civile» possiede incontestabilmente le sue virtù, sacralizzando valori come democrazia, libertà, pluralismo, tolleranza e rispetto per l’alterità razziale, etnica o sessuale attraverso commemorazioni ritualizzate. Il «catechismo tedesco», tuttavia, sacralizza sia lo statuto ebraico delle vittime che la colpa tedesca separandoli dalla storia del nazionalismo, del razzismo, del fascismo e del colonialismo. Invece di considerare l’Olocausto come un monito contro le attuali forme di razzismo e xenofobia, celebra l’alleanza indistruttibile tra la Germania e Israele.
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