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I due poli dell’ebraicità moderna e la guerra di Gaza

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In un’intervista pubblicata su Jacobin Italia, lo storico Enzo Traverso riflette sulla guerra in corso a Gaza e le diverse anime dell’ebraismo contemporaneo.

Traverso parte da una considerazione di «fine della modernità ebraica» (come da titolo di un suo libro). Il Novecento ha visto una rivoluzione nel popolo ebraico: da un immaginario cosmopolita, universalista, internazionalista, a quello più territorialista ed etnocentrico dell’Israele della decade passata. Traverso fa gli esempi di Trotzky e Kissinger:

Coinvolti, dopo l’emancipazione, nella secolarizzazione del mondo moderno, gli ebrei si sono ritrovati, nel passaggio del XX secolo, in una situazione paradossale: da un lato, si allontanavano progressivamente dalla religione, sposando con entusiasmo le idee nate dall’Illuminismo; dall’altro, dovevano fare i conti con l’ostilità di un contesto antisemita. In queste circostanze storiche, sono diventati un crogiuolo di cosmopolitismo, di universalismo e internazionalismo. Aderivano a tutte le correnti d’avanguardia e incarnavano il pensiero critico. Nel mio libro, ho fatto di Lev Trotzky, il rivoluzionario russo che ha vissuto la maggior parte della sua vita in esilio, la figura emblematica di questa ebraicità della diaspora, anticonformista e critica dell’ordine dominante.

Il quadro cambia dopo la Seconda guerra mondiale, dopo l’Olocausto e la nascita di Israele. Certo, il cosmopolitismo e il pensiero critico non sono scomparsi, rimangono dei tratti tipici del mondo ebraico. Durante la seconda metà del XX secolo, tuttavia, un altro paradigma si impone, di cui la figura emblematica è quella di Henry Kissinger: un ebreo tedesco esiliato negli Stati uniti che diviene il principale stratega dell’imperialismo americano.

In questa dicotomia anche la memoria è sottomessa all’ideologia. Traverso invita a non fare paralleli storicamente azzardati:

Certo, il 7 ottobre è stato un massacro spaventoso, ma qualificarlo come il più grande pogrom della storia dopo l’Olocausto significa suggerire una continuità tra i due. Questo induce a una interpretazione abbastanza semplice: quel che è avvenuto il 7 ottobre non è l’espressione di un odio generato da decenni di violenze sistematiche e di spoliazioni subite dai palestinesi; è un nuovo episodio nella lunga sequenza storica dell’antisemitismo che va dall’antigiudaismo medievale fino alla Shoah, passando per i pogrom dell’impero dello Zar. Hamas, dunque, sarebbe l’ennesimo episodio di un antisemitismo eterno. Questa lettura rende inintelligibile la situazione, cristallizza gli antagonismi e serve a legittimare la risposta israeliana. Netanyahu si era peraltro distinto, qualche anno fa, dichiarando che se Hitler aveva messo in atto la Shoah, il Grand Muftì di Gerusalemme ne era stato l’ispiratore.

Come riassumono i giornalisti, Traverso:

denunciando fermamente il terrore del 7 ottobre, invita a non cadere nella trappola tesa da Hamas e dall’estrema destra israeliana che condurrebbe alla distruzione di Gaza e a una nuova Nakba. «Si può manifestare per la Palestina senza sventolare la bandiera di Hamas; si può denunciare il terrore del 7 ottobre senza legittimare una guerra genocida portata avanti sotto il pretesto del ‘diritto legittimo di Israele a difendersi’», insiste.


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