A cura di @NedCuttle21(Ulm).
L’8 agosto del 2006, presso la diga artificiale del lago di San Giuliano, situato nella Valle del Bradano, in Basilicata, viene rinvenuto il fossile di una balenottera pleistocenica. Cominciano quindi le campagne di recupero, l’ultima delle quali si chiude nel 2011. Da allora i preziosi resti del cetaceo, al quale è stato dato il nome di Giuliana per via del luogo del ritrovamento, giacciono in alcune polverose casse presso il Museo Archeologico Nazionale Domenico Ridola di Matera, senza che su di essi sia mai stato possibile effettuare uno studio approfondito in grado di far luce su alcuni aspetti particolarmente importanti dal punto di vista scientifico.
Da alcuni mesi però il caso Giuliana sembra essere tornato sotto i riflettori, grazie al giornalista scientifico e film-maker Renato Sartini, che ha realizzato un documentario dal titolo Giallo Ocra – Il mistero del fossile di Matera, proiettato in prima nazionale l’8 ottobre scorso a Napoli, nel corso della trentesima edizione del festival delle scienze “Futuro remoto”.
In un articolo di Andra Meneganzin pubblicato su La mela di Newton, la storia dell’affascinante scoperta e l’intervista all’autore e regista del documentario.
Il fossile di balenottera pleistocenica più grande rinvenuta al mondo giace, da dieci anni, dimenticata nelle casse di un museo italiano. L’importanza scientifica del ritrovamento è stata sancita dalle maggiori istituzioni scientifiche italiane, che hanno patrocinato il documentario che ne ripercorre l’assurda vicenda. Un caso di malagestione di uno dei “pezzi da novanta” del nostro patrimonio paleontologico, la cui tutela è affidata alle figure professionali delle Soprintendenze, tra le cui file si contano ad oggi solamente 3 paleontologi. Nella sua intera dinamica il caso evidenzia anche una sfida attuale per la divulgazione scientifica, costretta a ripensare in termini più incisivi i propri canali comunicativi, ai tempi di una trasversale crisi materiale e culturale.
Si immagini di venire al corrente, nella lettura distratta di un trafiletto di cronaca, del ritrovamento di un fossile di balenottera risalente al Pleistocene, la più grande finora ritrovata al mondo. Si tratterebbe di una scoperta dal valore inestimabile, in grado di gettare luce non solo sulla storia evolutiva di questi mammiferi marini, ma anche di offrire una diapositiva dei cambiamenti climatici di cui l’esemplare è materiale testimone. Il lettore si affretterebbe a ricercare tra le righe il nome di una lontana cittadina oceanica, che avrebbe attirato a sé un team di esperti e la loro insonne solerzia nell’analizzare i preziosi resti dell’animale.
A seguire, forse, un’entusiastica esplosione di turismo scientifico su scala internazionale, un concerto di competenze e di risorse all’opera. Un lecito immaginario.
Immagine da Wikimedia Commons.
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