Alessia Dulbecco indaga su Il Tascabile gli stereotipi di genere – riscontrabili, sostiene, perfino in alcuni settori di mercato come quello dei giocattoli – attraverso cui gli adulti – spesso inconsapevolmente e negli ambiti più disparati – si rapportano ai bambini, riflettendo quindi sulle forme dannose di socializzazione rigidamente diversificate per maschi e femmine che tale meccanismo culturale tende a favorire.
Immaginate di prepararvi per una passeggiata. Uscite dalla vostra abitazione, attraversate l’androne del palazzo e notate sul portone d’ingresso un bel fiocco rosa: immediatamente realizzate che i vicini di pianerottolo con cui ogni tanto vi soffermate a chiacchierare sono diventati genitori di una bambina. Una volta per strada, incontrate un nonno che porta a spasso il nipote: come sapete che è un maschietto? Avrà sì e no quattro anni: se non fosse per i capelli corti, lo zaino dei Gormiti e il suo outifit blu, grigio e verde non lo indovinereste. Decidete di andare a comprare un regalo per la nuova nata. Al negozio di abbigliamento per bambini chiedete alla commessa in quale reparto poter trovare un body. L’impiegata vi chiede se si tratta di un regalo per un bimbo una bimba, perché cambiano i colori e i disegni. Abbandonate l’idea del body e andate in un negozio di giocattoli. Prima di trovare il reparto dei giochi dedicati alla prima infanzia vi perdete nei corridoi su cui campeggiano indicazioni molto chiare in merito al sesso e all’età dei possibili destinatari. Guardate distrattamente il packaging dei prodotti: quello delle bambine è caratterizzato da una sovrabbondanza di rosa, viola e glitter, quello dei bambini è sui toni del blu e verde e presenta grafiche molto più dinamiche.
Immagine da pxhere.
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