Su The New Yorker, Masha Gessen parla della «politica della memoria» in Europa e di come questo stia deformando il dibattito politico sulla guerra Israele-Gaza.
Berlino non smette mai di ricordare ciò che vi è accaduto. Diversi musei esaminano il totalitarismo e l’Olocausto; il Memoriale agli ebrei assassinati d’Europa occupa un intero isolato. In un certo senso, però, queste strutture più grandi sono il meno. I monumenti commemorativi che si trovano di soppiatto – il monumento ai libri bruciati, che è letteralmente sottoterra, e le migliaia di Stolpersteine, o “pietre d’inciampo”, costruite nei marciapiedi per commemorare singoli ebrei, sinti, rom, omosessuali, malati di mente e altre persone uccise dai nazisti – rivelano la pervasività dei mali commessi in questo luogo. All’inizio di novembre, mentre camminavo verso la casa di un amico in città, mi sono imbattuto nello stand informativo che segna il sito del bunker di Hitler. L’avevo già fatto molte volte. Sembra una bacheca di quartiere, ma racconta la storia degli ultimi giorni del Führer.
⁝L’insistenza sull’unicità dell’Olocausto e la centralità dell’impegno della Germania a fare i conti con esso sono due facce della stessa medaglia: posizionano l’Olocausto come un evento che i tedeschi devono sempre ricordare e menzionare, ma che non devono temere di ripetere, perché è diverso da qualsiasi altra cosa sia mai accaduta o accadrà. La storica tedesca Stefanie Schüler-Springorum, che dirige il Centro di Ricerca sull’Antisemitismo di Berlino, ha sostenuto che la Germania unificata ha fatto della resa dei conti con l’Olocausto la sua idea nazionale, e di conseguenza “ogni tentativo di far progredire la nostra comprensione dell’evento storico stesso, attraverso paragoni con altri crimini tedeschi o altri genocidi, può [essere] e viene percepito come un attacco alle fondamenta stesse di questo nuovo Stato-nazione”. Forse è questo il significato di “Mai più è ora”.
L’articolo di Gessen ha suscitato polemiche in Germania: l’Associazione tedesco-israeliana ha criticato l’autrice in quanto «ostacolerebbe la necessaria posizione risoluta contro il crescente antisemitismo». La fondazione Heinrich Böll (vicina al partito dei Verdi), «in accordo con il Senato di Brema», ha rinunciato a partecipare al conferirimento di un premio a Gessen.
Gessen si è espressa con amarezza su Twitter così
You'd think, with all the attention to the Arendt Prize debacle, I'd be inundated with media calls/texts. You'd be wrong. Not one German journalist has reached out for comment. One US journalist did. All reporting has happened with no input/reaction from me. Inaccuracies pile up
— masha gessen (@mashagessen) December 14, 2023
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