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Brutta

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In una intervista a Repubblica Giulia Blasi parla a cuore aperto del suo ultimo libro, un saggio di carattere autobiografico: “Brutta – storia di un corpo come tanti”. Nel libro la Blasi parla di come nel corso della sua vita si sia trovata ad affrontare la percezione altrui del proprio corpo e dei modi in cui ha deciso di affrontare questa percezione.

Abbiamo rivendicato il diritto ad essere libere, emancipate, sessualmente disinibite, riflette la scrittrice, ma nessuna donna rivendica mai il diritto a non essere bella. “Il massimo del discorso che si fa è ‘non esistono donne brutte, la bellezza è un concetto relativo, le donne sono tutte belle, ti devi amare come sei, bla bla’. Per carità, sono discorsi molto consolatori, ma non ci aiutano ad affrontare il problema principale: perché siamo così fissate col fatto di dover essere belle a tutti i costi? Perché dobbiamo essere per forza attraenti per poter esistere nello spazio pubblico?”, si chiede la scrittrice e attivista.

Anche su The Whom Valentina Lonati intervista la Blasi che si esprime contro il concetto di “body positivity”.

Provo una repulsione istantanea per il concetto di body positivity, un movimento ormai inglobato al capitalismo che lo usa per venderci più prodotti possibili. È l’ennesimo dovere a cui siamo sottoposte, l’ennesima cosa che dobbiamo fare per stare bene: accettarci. Io penso che abbiamo anche il diritto di pensare meno al nostro corpo, ovvero di pensarlo in termini di sensazioni, di salute, di scoperta, non sempre e solo di apparenza. Il mio libro racconta tutto questo.

La presentazione del libro infine così recita:

Dall’infanzia alla prima adolescenza, dai vent’anni all’età in cui comincia l’invecchiamento, la storia del suo corpo è la storia del corpo di ogni donna: un corpo che va nel mondo con la consapevolezza della quantità di spazio che può occupare e di attenzione che può pretendere in ragione di come viene etichettato. Una consapevolezza che cambia prospettiva se ci si pone la domanda iniziale e poi si prosegue secondo la stessa logica chiedendosi: chi ha detto che, per occupare uno spazio pubblico, per vivere appieno in società, si debba per forza essere belle?

A cura di @Andreas e @Kenmare


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