In un articolo pubblicato su Internazionale, Vanessa Roghi ripercorre la storia della nascita del Partito Comunista Italiano.
Il 21 gennaio 1921 a Livorno, da una scissione del Partito socialista italiano, nasce il Partito comunista d’Italia (Pcd’I), sezione italiana dell’Internazionale comunista. Lo fondano, tra gli altri, Amadeo Bordiga, Antonio Gramsci, Umberto Terracini, Nicola Bombacci e rappresenta il nucleo politico da cui prenderà forma il Partito comunista italiano (Pci), che sarà il più grande partito comunista d’occidente, fino alla sua trasformazione in un’altra entità politica che coinciderà, di fatto, con il processo verso la democrazia avviato da Michail Gorbačëv in Unione Sovietica nel 1989.
Fra queste due date c’è un secolo: breve, se a contarne gli anni si parte dalla prima guerra mondiale e si arriva al crollo del muro di Berlino, come ha suggerito lo storico inglese Eric Hobsbawm; lungo, lunghissimo, se invece il conto si fa sui cambiamenti, i cataclismi e l’accelerazione che ha causato, in modo irreversibile.
Di questo secolo il comunismo è un tratto distintivo, come le guerre mondiali e le crisi economiche, come i regimi di massa e la democrazia, come la liberazione dalla miseria di milioni di esseri umani. Una storia complessa, complicata, che ancora suscita passioni e provoca reazioni, a volte isteriche a volte commosse, rabbia e nostalgia, accende cuori e suscita terrore allo stesso tempo, come nessun’altra. Se si dovesse partire dalla fine, dallo sgretolarsi politico del comunismo, così da coglierne l’immensa complessità, direi di vedere La cosa, il film di Nanni Moretti sulla dissoluzione del Pci, ma anche di leggere il saggio di Svetlana Aleksievič Tempo di seconda mano (Bompiani 2013), capolavoro sulla fine dell’Urss. O di recuperare The act of killing, il documentario di Joshua Oppenheimer sulle uccisioni di massa dei comunisti in Indonesia tra il 1965 e il 1966 ad opera di paramilitari ed esercito.
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