Su suggerimento di @i.c.e.
A poche ore dalla fine di queste Presidenziali USA, Uri Friedman intervista Thomas Wright a proposito di quella che potrebbe essere la politica estera americana in caso di vittoria di Trump, e di quali sarebbero le ripercussioni sul resto del mondo.
Durante la campagna elettorale le posizioni di Trump in politica estera sono state bollate come contraddittorie e superficiali, ma Wright afferma che negli ultimi 30 anni il candidato repubblicano ha mostrato di avere una visione comunque coerente di come vorrebbe cambiare dalle fondamenta l’ordine mondiale sorto dopo la Seconda Guerra Mondiale: Trump auspica un forte isolazionismo e un ritorno al mercantilismo, con una revisione dei trattati militari e commerciali in modo che siano favorevoli agli USA (e quindi meno favorevoli per le controparti), e mostra una forte attrazione verso modelli autoritari di governo.
Trump’s position basically is: For the U.S. economy to do well, other countries must do worse. But our experience over the last 70-odd years is the opposite. It’s that in order for the U.S. and any individual country to do well, the global economy has to do well.
La predizione di Wright è che il Senato USA potrebbe porre dei freni in politica interna ma non in politica estera, e che se Trump decidesse di mantenere tutto quello che promette il risultato in tutta probabilità sarebbe una recessione globale e un lungo periodo di instabilità in cui gli attori regionali sarebbero maggiormente propensi ad agire unilateralmente per favorire i propri interessi. E gli USA, prima o poi, sarebbero comunque costretti ad intervenire come successo in passato.
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