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Dovremmo mettere in dubbio ogni cosa?

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Joshua Rothman, autore e critico culturale noto per i suoi scritti su temi complessi come la filosofia, la cultura e la tecnologia, nel suo articolo Should You Question Everything?, pubblicato sul New Yorker, esplora il valore del pensiero critico attraverso la lente del metodo socratico e riflette su come la nostra società affronta oggi il concetto di interrogarsi sulle proprie convinzioni.

Rothman introduce l’argomento con un esperimento personale: ogni tanto, decide di “red-pillarsi,” cioè di esporre intenzionalmente il proprio pensiero a idee opposte a quelle in cui crede, utilizzando piattaforme digitali come YouTube. Questo percorso lo porta a riflettere sulla facilità con cui oggi si è sommersi da opinioni prefabbricate, spesso polarizzanti, e su quanto sia raro un confronto autentico che porti a cambiare davvero prospettiva.

L’autore sottolinea come viviamo in un’epoca di crisi del pensiero autentico: il dibattito odierno è dominato da risposte preconfezionate e superficiali. Internet, pur spingendo a mettere in discussione tutto, offre risposte immediate che soffocano il processo di riflessione profonda, trasformandosi in una macchina per dirti cosa pensare.

Quale può essere la soluzione a questo problema? Rothman pensa di trovarla nel pensiero di Socrate, riproposto dalla filosofa Agnes Callard in  Open Socrates: The Case for a Philosophical Life. Secondo Callard, il metodo socratico non è solo una tecnica di domande e risposte, ma un’intera filosofia di vita. Socrate, infatti, non si limitava a interrogare il prossimo per confutare opinioni, ma spingeva a riflettere sulle fondamenta stesse delle proprie convinzioni, persino a costo di destabilizzarle. Questo tipo di riflessione, seppur scomodo, è essenziale per dare un senso autentico alla propria esistenza.

Rothman riflette su come la ricerca della verità col metodo socratico debba necessariamente avvenire in un contesto sociale: è necessario accettare l’idea che si stanno esponendo argomenti tra pari, e che non necessariamente i nostri argomenti sono migliori di quelli della controparte.

Thinking, Callard writes, happens when two people who see themselves as equals pursue a question together. It’s a chimeric activity, shared but also private and enclosed. My goal, in our shared thought process, isn’t to dominate you by scoring points, or to earn the respect of some audience, or to impress you. It’s to change your mind, or to have my mind changed by you—an outcome that I would find equally satisfying…

…If you’re victorious over me in a debate, I may have no choice but to concede that your arguments are superior—though I could still continue to believe that, for reasons I can’t articulate, I’m right. But if we think together, we might arrive at a new and better idea in which we both believe. And if we think together over and over, we might construct a set of shared ideas for how to live.

Nel concludere, Rothman osserva come la tecnologia, pur facilitando l’accesso a nuove opinioni, non possa sostituire la profondità del dialogo umano. Il pensiero autentico, per sua natura, è un atto sociale: non basta interrogarsi da soli su un’isola deserta, ma è necessario costruire significati condivisi attraverso il confronto con gli altri. Questa è la vera libertà intellettuale.

Could it really be true that, outside of the scientific method, we’ve invented no better technology for the generation of durable, shared agreement than deep, open, one-on-one conversation? It might be worth arranging a walk with a friend, to talk it over.


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