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Federalismo fiscale: passi avanti e criticità

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L’Ufficio parlamentare di bilancio fa una sintesi del progetto di «federalismo fiscale», illustrando quel che è stato fatto e quel che ancora manca.

L’UPB è un ente statuale che verifica e commenta lo stato delle finanze italiane, le previsioni di finanza pubblica del Governo e del Parlamento e in generale tutto l’aspetto macroeconomico della Repubblica. L’attuazione del federalismo fiscale è una pietra miliare del PNRR, tanto politicamente sensibile quanto complessa; vediamo cosa dice la relazione (integrale in PDF).

Vi sono aspetti positivi e incoraggianti. L’UPB nota progressi (anche se parziali) nel superamento del criterio di «spesa storica» per i fondi di perequazione. Ancora in positivo, ci sono stati — anche grazie ai fondi del PNRR — potenziamenti di numerosi servizi (asili nido, servizi per disabili, etc.). Ultimo ma non meno importante, lo sviluppo a livello centrale di un migliore sistema di controllo verso le finanze degli enti locali e sanzionatorio verso gli enti inadempienti.

Di fronte a questi progressi, rimangono nodi irrisolti che rischiano di far mancare l’obiettivo del primo trimestre 2026 per la riforma, come da PNRR. Da una parte la definizione dei LEP (servizi essenziali che devono essere garantiti su tutto il territorio della Repubblica) e soprattutto il finanziamento degli stessi è in alto mare; dall’altra non vi è stato trasferimento di capacità fiscale agli enti locali (quindi imposizione e riscossione di tributi locali).

I numeri indicano dove finisce la contabilità e inizia la politica: scorriamo per esempio la tabella №12 sul «Fondo di solidarietà comunale». L’FSC è un fondo di perequazione con finalità di riequilibrio economico e sociale, per aiutare i Comuni con meno possibilità. I criteri originali di redistribuzione dell’FSC sono stati via via modificati da “ritocchi” correttivi per evitare grandi cambiamenti rispetto al criterio della spesa storica e quindi conseguenze politiche sgradevoli per la maggioranza del momento. Così ad esempio l’FSC 2024 ha vincitori e vinti, sia dal punto di vista territoriale che della dimensione del comune:

La distribuzione storica dei trasferimenti tende a favorire i piccoli Comuni e le grandi città. La maggior parte di questi avrebbe ricevuto minori risorse qualora fosse stata applicata integramente la perequazione, registrando riduzioni medie tra i 15,6 e i 32 euro pro capite nel caso di Enti con meno di 5.000 abitanti e fra i 5,2 e i 6,9 euro in presenza di più di 100.000 abitanti. Fa eccezione Roma Capitale che con la perequazione integrale avrebbe ottenuto circa 46 euro pro capite in più. Al contrario, sono penalizzati principalmente i Comuni di medie dimensioni che con l’applicazione della perequazione standard avrebbero ottenuto maggiori risorse pari in media a poco più di 8 euro pro capite.

Dal punto di vista territoriale i criteri storici avvantaggiano il Nord (che con l’applicazione integrale della perequazione avrebbe visto ridurre i trasferimenti in media fra i 10,3 euro pro capite del Nord-Est e i 13,2 del Nord-Ovest) a discapito del Centro e del Sud (che con la perequazione integrale avrebbero ottenuto maggiori risorse, rispettivamente, per circa 14,2 e 10,2 euro pro capite).


Sergio Rizzo per L’Espresso fa i conti con la realtà del decentramento amministrativo e decisionale affidato finora alle Regioni italiane, in vista della riforma sull’ Autonomia Differenziata che si sta discutendo in Parlamento:

Al di là delle implicazioni giudiziarie, la vicenda ligure è la dimostrazione che le Regioni sono ormai l’incubatore perfetto della balcanizzazione del sistema politico italiano. Un sistema sempre più in mano a ras o cacicchi che hanno costruito il loro potere sul potere dei soldi, tantissimi, che amministrano. Quelli della Sanità, innanzitutto. Ma non soltanto. Nel 2024 le 19 Regioni più le due Province autonome di Trento e Bolzano gestiranno quasi 290 miliardi: dai 37,2 della Campania al miliardo 818 milioni della Valle D’Aosta. Con differenze mostruose. Se la Lombardia avrà a disposizione 3.255 euro per ogni lombardo, la Valle D’Aosta potrà contare su 14.780 euro per ciascun valdostano. Una valanga di quattrini.

E forte della presunta investitura popolare derivante dall’elezione diretta, ancorché sempre meno partecipata, qualche presidente di Regione è ormai una spina nel fianco per il leader del suo partito. Come il presidente della Campania Vincenzo De Luca del Pd e quello del Veneto Luca Zaia, leghista. Se poi il partito non gli sta bene, allora ne creano uno personale, nuovo di zecca. Come Toti. Ma ancor prima Raffaele Lombardo, ex presidente siciliano. Oppure restano nel partito, ma si fanno una corrente. Come il pugliese Michele Emiliano, che fa parte del gruppo Pd però ha dato vita in consiglio regionale a un altro gruppo che si chiama Con Emiliano, raccogliendo anche transfughi dal centrodestra. «Con» presenta proposte di legge anche al parlamento nazionale. Tipo quella per abolire i test d’ingresso a Medicina. Prima di «Con», Emiliano si era fatto leader di un’altra corrente: Fronte democratico.


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