Ernesto Galli della Loggia, noto giornalista del Corriere della Sera, ha espresso alcune opinioni sull’inclusione scolastica che gli sono valse molte critiche e hanno acceso un forte dibattito. In un articolo del 13 gennaio 2024 (€ — alt) scriveva:
La scuola italiana è il regno della menzogna e finche resterà tale non potrà che peggiorare. Sulla carta tutto è previsto, tutto funziona, e alla fine tutti sono promossi. Ma […] la realtà è ben diversa. A cominciare ad esempio da quella che si cela dietro il mito dell’inclusione. In ossequio al quale nelle aule italiane — caso unico al mondo — convivono regolarmente, accanto ad allievi cosiddetti normali,
ragazzi disabili anche gravi con il loro insegnante personale di sostegno (perlopiù a digiuno di ogni nozione circa la loro disabilità), poi ragazzi con i Bes (Bisogni educativi speciali: dislessici, disgrafici, oggi cresciuti a vista d’occhio anche per insistenza delle famiglie) e dunque probabili titolari di un Pdp, Piano didattico personalizzato, e infine, sempre più numerosi, ragazzi stranieri incapaci di spiccicare una parola d’italiano. Il risultato lo conosciamo.
Queste affermazioni hanno scatenato un vespaio di polemiche per la poco esattezza con cui EGdL parla di cose di scuola e per l’impressione avuta da molti per cui che secondo l’autore l’integrazione a scuola fosse un errore.
EGdL ha pensato di rimediare con un articolo del 20 gennaio 2024 in cui inizia chiedendo scusa per aver voluto riassumere una questione complessa come l’inclusione in poche righe e poi spiega che la sua intenzione non era rifiutare l’integrazione ma porre l’accento sulle sue criticità per come viene attuata a scuola. Premette una spiegazione di cosa sono i BES (bisogni educativi speciali) in cui mostra di aver capito poco la questione e poi espone le proprie critiche:
Due osservazioni. La prima: nella maggioranza dei casi l’insegnante «di sostegno» non ha alcuna preparazione specifica se non alcune vaghe nozioni d’ordine generalissimo apprese in un corso annuale. Che tipo di «sostegno» potrà quindi assicurare se non quello genericissimo di una semplice presenza/assistenza? Ma non solo: sempre nella maggioranza dei casi (ma direi nella grande maggioranza dei casi) gli insegnanti «di sostegno» ambiscono in realtà a lasciare il loro ruolo per inserirsi nel ruolo normale d’insegnamento.
Continua spiegando che l’insegnante di sostegno non segue il bambino che gli è assegnato per tutto l’orario in cui questi si trova a scuola, concludendo che questo svelerebbe
la vera sostanza dell’inclusione che in pratica significa la semplice permanenza in aula dell’alunno disabile, non accompagnata in realtà da alcun intervento significativo che vada al di là della suddetta permanenza.
Si dirà che ciò è già qualcosa. Può darsi. Di sicuro è più di qualcosa per le famiglie. Ma è lecito o no chiedersi in che senso tutto questo rientri tra i compiti propriamente educativi della scuola o non finisca inevitabilmente per snaturarli, per farli passare alla fine in seconda linea, ad esempio sollecitando indirettamente un generale accertamento del merito all’insegna dell’indulgenza?
E infine: è proprio sicuro che ad esempio, perlomeno nei casi gravi di disabilità intellettiva, di disabilità motoria, piuttosto che essere immersi in un ambiente totalmente altro assistiti da un incompetente non gioverebbe di più l’inserimento in un’istituzione capace di prendersi cura di simili casi in modo più appropriato e scientificamente orientato?
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